Da portarne i segni addosso

Domenica 31 maggio – Pentecoste
(At 2,1-11;   1Cor 12,3-7.12-13;   Gv 20,19-23)

22vangeloProprio perché le porte sono finalmente chiuse e la paura ride dei nostri imbarazzanti propositi. Proprio perché la paura ha mandato definitivamente in frantumi le apparenze e non c’è più comunione ma solo contatto di vite che, come cocci rotti, hanno smarrito il senso del loro essere. Proprio perché la paura ha svelato il cuore umano, fragile e imbarazzante come mai si era mostrato. Proprio per tutto questo Tu, Signore, sei. E noi non dobbiamo dimenticarcene mai. Tu vieni e stai e parli nel centro di un cuore che ha paura di non riuscire ad amare più e che è sicuro di non riuscire ad amarsi più.
Tu vieni e stai e parli nel centro dei nostri tradimenti, prima che inizino processi di conversione, prima che inizino cammini riparativi, prima che noi si possa anche solo balbettare il nostro “scusami”. Tu vieni e stai e parli danzando su quelle macerie, al buio sprangato dal terrore di tornare a guardarsi negli occhi. E noi purtroppo ce ne dimentichiamo.
Vero cammino di conversione sarebbe riconoscerti lì, presente, da sempre, nonostante. Non nel sogno di una Chiesa perfetta, non in quello di una Chiesa al passo coi tempi, sicuramente nemmeno nelle nostalgie ridicole del passato. Non nella Chiesa dei Concili, non in quella dei poveri, non in quella del Vaticano, nemmeno in quella del Papa che amiamo tanto, non in quella dei Vescovi e nemmeno in quella dei giovani, non in quella dei movimenti, non in quella dei teologi e nemmeno in quella dei rivoluzionari, in nessuna etichetta Signore, in nessuna Chiesa che sarà, in nessun sogno di Chiesa, in nessun futuro perfetto ma in quella che è, adesso. In questa Chiesa povera e impaurita che siamo noi.
In questa vicinanza bellissima di cocci rotti che osa tentare di essere almeno un poco Comunione. Innamorarsi e trovarti qui e adesso tra noi, questa è azione dello Spirito. Tu sei, adesso, Signore, nei cenacoli sbarrati di una Chiesa che inciampa, tradisce e non è invitata ai tavoli del potere.
Sei, adesso, Signore, nella Chiesa che non si finge perfetta, che è a pezzi, che si vergogna e rimane in fondo, che non ha da mostrare se non le ferite della propria contraddizione. Tu sei, qui, adesso. E noi siamo chiamati a riconoscerti. A vedere quel giorno primo della settimana incastrato coraggiosamente dentro il cuore delle nostre sconfitte.
“Venne Gesù”. Il primo passaggio è quello di andare incontro al reale, alla vita come è e non come la vorremmo. Tu, Risorto, non aspetti le condizioni perfette ma rendi perfetta la condizione di assoluta povertà. La nostra.

don Alessandro Deho’