
In questo tempo sospeso viene spesso da pensare come poter vivere al meglio il periodo di reclusione forzata e di pensarne il dopo: molti genitori sono stati a lungo “impegnati” ad affrontare la quarantena senza il prezioso aiuto dei nonni, cercando di seguire i propri figli tra smartworking e lezioni on line; e i bambini? Sembrano essere diventati all’improvviso invisibili, silenziosi.
Come insegnante nella scuola dell’infanzia ho avuto il privilegio di osservarli e star loro comunque vicino. Abbiamo programmato attività, giochi, tutorial, videochiamate, li ho visti nei video e nelle foto, ascoltati nei messaggi vocali.
Osservando tutto ciò, constato come i nostri bambini siano effettivamente in grado di realizzare quella “capacità negativa” di cui parla il poeta inglese John Keats, cioè la capacità di rimanere sospesi tra incertezze e dubbi; “negativa” per contrapporla al più frequente bisogno “positivo” del conoscere razionale e dell’intervenire istantaneo per cercare una risposta immediata. In questa circostanza eccezionale i bambini hanno dimostrato di essere flessibili e maggiormente adattabili rispetto a noi adulti.
A noi spetta canalizzare le loro energie, prima di tutto regalando loro un “clima emotivo” sereno, sforzandoci di vedere la realtà con occhi diversi e di trasformarla a beneficio del bambino, come Benigni con il figlio nel film La vita è bella. È soprattutto questo che noi adulti siamo chiamati a regalare ai nostri bambini oggi: la capacità di attribuire significati positivi alla realtà che ci circonda, anche se difficile e dura. Impariamo dai nostri figli sfruttandone le potenzialità, come quella del gioco e della fantasia, attuando una pedagogia ludica che li aiuti (e ci aiuti) a stare meglio nel presente che siamo costretti a vivere.
Questo non vuol dire nascondere la realtà ai figli, ma allenarli ad accoglierla così come è; significa aiutare i nostri bambini a leggere le espressioni dei nostri volti sotto le mascherine che indossiamo, per dare loro la possibilità e gli strumenti per interpretare il nostro umore: ad esempio tenendo un diario degli stati d’animo con le “faccine”, così da renderlo facilmente comprensibile ai più piccoli; o facendo tenere a loro stessi un diario, con i loro disegni, le macchie di colore e gli scarabocchi.
Facciamo nostra quell’empatia che impedisce ai bambini il mantenimento delle distanze sociali, per non vivere completamente distanziati dagli altri e continuare ad abitare uno spazio comune che è il riconoscersi, malgrado l’isolamento, comunque parte di una comunità. Nei giorni scorsi un mio alunno mi ha inviato uno dei suoi lavoretti, un pulcino che spunta da un uovo con ancora il guscio in testa. Lui è quel pulcino e alla domanda “dove ti porta?” ha risposto “in piazza, a giocare con gli amici”. È l’immagine del dopo quarantena: usciremo con cautela, ancora con il guscio sulla testa come un casco, per proteggerci, ma con la meravigliosa possibilità e certezza di poter di nuovo spiccare il volo.
Maria Elena Panerai
Pedagogista e insegnante di scuola dell’infanzia