
Scattata cento anni fa da Attilio Bertoni, nota per la mostra “Fotografo di paese”, svela oggi i suoi protagonisti. Una storia di emigrazione in Francia

L’immagine di Casimiro Ferrari e Clorinda Fraboschi viene fissata dal fotografo Attilio Bertoni proprio cento anni fa, nella primavera del 1920, probabilmente in occasione di una giornata di festa nelle colline tra le valli del Vara e del Magra, forse non lontano dal Bosco di Rossano o forse proprio a Pieve di Zignago, nei pressi di Suvero dove la coppia vive in località La Casetta. Sono sposati da poco: Clorinda è in attesa di Maria che sarebbe poi nata a novembre, unica femmina di una prole che avrebbe contato anche quattro maschi. Il primo, Aldo, come Maria nasce ancora alla Casetta, mentre gli altri tre figli – Albert, Henri, René – sarebbero poi nati in Francia dove la famiglia si stabilisce pochi anni dopo. Casimiro la strada per la Francia la conosce bene: all’epoca della foto – come si può notare anche dall’abbigliamento elegante e con la fascia in vita – già da alcuni anni era un emigrante stagionale, venditore ambulante nelle campagne francesi; la sua merce erano immagini e statuine di santi, oggetti di merceria e probabilmente qualche libro. Come tanti altri ambulanti di quell’area tra Lunigiana e val di Vara, partiva all’inizio della primavera per tornare ad autunno inoltrato. Nel 1923 Casimiro si trasferisce definitivamente in Francia portando con sé Clorinda, Maria e il piccolo Aldo: la destinazione è Saint-Igny-de-Roche, nel dipartimento Saône-et-Loire, paese di poche centinaia di abitanti, meno di cento chilometri a nord ovest di Lione. Oggi, nei ricordi di famiglia, emerge anche la possibilità che Casimiro sia stato costretto a lasciare l’Italia a causa della sua aperta avversione al fascismo o, forse, per non aver adempiuto agli obblighi militari. In Francia comincia una vita nuova: la famiglia adesso è unita tutto l’anno, nascono gli altri tre figli e Clorinda dà alla luce anche due gemellini che però, purtroppo, non sopravvivono. L’animo girovago di Casimiro, tuttavia, lo spinge a guardarsi spesso intorno alla ricerca di nuove opportunità e la famiglia si sposta più volte per stabilirsi, alla fine, nella non lontana cittadina di Chauffailles. Casimiro chiama qui altri parenti (tra i quali la sorella Maria con il marito Santino) e compaesani dalla val di Vara e apre una cava di pietra che gestisce con il loro aiuto; parallelamente continua l’attività di rigattiere con la raccolta di ferro e di oggetti vari che ricava dal servizio di svuotamento di case e cantine che offre ad una vasta clientela. Non manca un piccolo commercio di vendita di pelli di coniglio che raccoglie nelle campagne vicine. Altri componenti della famiglia seguono le orme di Casimiro e si dedicano alla vendita ambulante. Muore nel 1967 a 74 anni: a differenza del cognato che, risparmiando giorno dopo giorno, riesce a mettere da parte una piccola fortuna, Casimiro non si arricchisce riuscendo però a garantire una vita più che decorosa alla famiglia, non disdegnando di togliersi anche qualche soddisfazione. Clorinda è al suo fianco per tutta la vita e gli sopravvive una quindicina d’anni: morirà nel 1993 a 91 anni. In paese è conosciutissima anche per le sue tante abilità imparate a Suvero; a Ecoche, un paesino vicino a Chauffailles, la si ricorda ancora oggi come colei che, durante gli anni difficili della seconda guerra mondiale, unica in tutto il circondario sapeva trasformare la farina in pasta: un’attività preziosissima in anni nei quali questa era diventata un prodotto introvabile. La sua porta era sempre aperta alle tante donne alle quali l’arte di creare la pasta era sconosciuta e che le portavano la materia prima per poi ritirare il prodotto finito, creato dalle sue abili mani. Oggi in Francia a ricordare nonna Clorinda e nonno Casimiro vivono due nipoti: Marie-Josèphe Forest (figlia di Maria) a Chauffailles e Chantal Ferrari (figlia di Albert) a Neuvy (vicino a Moulins ) che periodicamente tornano ai Casoni di Suvero con mariti e figli. E a Chauffailles vive ancora Aldo, partito piccolissimo da Suvero al seguito di papà e mamma. Il maggiore dei figli maschi non ha tradito lo spirito libertario e antifascista del padre e durante la guerra si è dato alla macchia arruolandosi nelle file dei partigiani, i “maquis”, scampando più volte alla morte e vedendo morire tanti compagni. Ancora oggi, ultranovantenne, è lucido testimone della Resistenza e assiduo partecipante alle commemorazioni e agli incontri per non dimenticare un passato recente ma troppo spesso trascurato dalla memoria collettiva.
Paolo Bissoli
La riscoperta di quello scatto perduto…
Era il 1989: don Adriano Filippi, parroco a Zeri, e Caterina Rapetti, studiosa dell’emigrazione, entrambi appassionati di etnografia si imbattono in una serie di stampe custodite da numerose famiglie nello zerasco. Quella è la premessa di “Fotografo di paese: vita a Zeri nelle immagini di Attilio Bertoni”, la fortunata mostra dedicata all’attività di un un fotografo che per decenni aveva girato i paesi dello zerasco lasciandoci volti e scene di vita e ancora attivo a Pontremoli nel secondo dopoguerra. La grande capacità di grafico di Orazio Pugliese aveva individuato nella foto ambientata davanti ad una sorgente la copertina del catalogo, ancora oggi ricercatissimo dai collezionisti. Una foto della quale, tuttavia, non si conoscevano né il luogo, né i protagonisti: una giovane coppia impegnata in un complesso dialogo di sguardi. Il colpo di scena è arrivato trent’anni dopo, quando Ivano Baldini e Tosca Bertolini inconsapevoli di quanto stava per accadere, regalano il libro a due coppie di amici che vivono in Francia ma in vacanza a Suvero, il paese delle radici familiari delle due donne, le sorelle Marie-Josèphe e Chantal. “Ma questi sono i nostri nonni!” è l’esclamazione che coglie tutti di sorpresa. Segue un incontro a Pontremoli, emozionante perché a distanza di trent’ anni ci consente di conoscere le vicende dei due protagonisti della copertina; nell’occasione alle due sorelle viene consegnato un poster che ora fa bella mostra nella casa di Marie.