La paura del contagio e l’ intolleranza

06cinaGli episodi di intolleranza nei confronti di persone di origine cinese, collegati all’allarme internazionale per il nuovo coronavirus, in Italia sono ancora un numero relativamente esiguo, almeno quelli noti alle cronache. È auspicabile che il diffondersi della psicosi – che non ha nulla a che vedere con le sacrosante misure di prudenza e di prevenzione da mettere in atto a tutti i livelli – non produca una escalation.
Da registrare l’intervento dei governatori di Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige che hanno scritto una lettera comune al ministero della Sanità chiedendo che i bambini di qualsiasi nazionalità in arrivo dalla Cina siano tenuti fuori dalle scuole per un periodo di osservazione di 14 giorni, precisando subito che “non c’è nessuna volontà di ghettizzare” ma solo il desiderio di “dare una risposta all’ansia dei tanti genitori”.
Al di là dei singoli episodi emersi e delle considerazioni degli esperti sugli effettivi rischi di contagio, c’è un sentimento più o meno sottile di diffidenza che si sta facendo largo nell’opinione pubblica. Intendiamoci, la paura è un sentimento umanissimo e sarebbe insensato criminalizzare i timori che insorgono nell’animo di tanti. Però è necessario vigilare, a cominciare da noi stessi, perché questi moti dell’animo non diventino intolleranza e veleni sociali, offrendo un terreno di coltura per atti e comportamenti lesivi del rispetto che si deve a ogni persona umana, in una stagione in cui il pregiudizio e la ricerca ossessiva del capro espiatorio hanno già causato troppi danni.
Torna alla mente un celebre scritto di Alessandro Manzoni, la “Storia della colonna infame”, in cui si racconta del processo contro persone innocenti accusate di essere all’origine della terribile peste che decimò gli abitanti di Milano nel 1630. I presunti “untori” furono torturati e giustiziati a furor di popolo. Di fronte a questa tragedia dell’ingiustizia, Manzoni si domanda quali fattori possano aver “soggiogato” la volontà dei giudici al punto da indurli a emettere una sentenza così scellerata e li individua nella “rabbia contro pericoli oscuri, che, impaziente di trovare un oggetto, afferrava quello che le veniva messo davanti; la rabbia resa spietata da una lunga paura, e diventata odio e puntiglio contro gli sventurati che cercavan di sfuggirle di mano”; o nel “timor di mancare a un’aspettativa generale, altrettanto sicura quanto avventata, di parer meno abili se scoprivano degl’innocenti, di voltar contro di sé le grida della moltitudine, col non ascoltarle”.
Parole che rilette in questi giorni – la “Storia” manzoniana è stata pubblicata nel 1842 – fanno venire i brividi e non solo pensando alle vicende del coronavirus. Che per fortuna non è la peste del Seicento. Ma il contagio dell’ intolleranza e dell’odio oggi si diffonde molto più velocemente di allora.