
Il 1° marzo di cento anni fa diede inizio alla campagna di resistenza passiva e non violenta

Ci sono uomini che hanno cambiato il corso della storia, che hanno fatto il loro ingresso in punta di piedi, per poi stravolgere nazioni intere con le loro azioni: Gandhi fu uno di questi uomini rivoluzionari. Chi mai avrebbe scommesso che un giovane avvocato indiano, così timido e impacciato da svenire la prima volta che dovette parlare in pubblico, sarebbe in futuro diventato la guida politica e morale di un intero popolo? Eppure oggi tutti quanti ricordiamo il nome di Mohandas Karamchand Gandhi come uno dei maggiori simboli del pacifismo novecentesco. Proprio un secolo fa, il primo marzo 1920, Gandhi diede inizio alla campagna di resistenza passiva e non violenta, volta ad ottenere l’indipendenza del proprio paese dalla Gran Bretagna, allora l’impero più potente ed esteso nel mondo. “La non violenza è la legge della nostra specie come la violenza è la legge dei bruti”. Questa frase di Gandhi riassume il suo pensiero, quello di un uomo che si è battuto fino alla morte per una cultura della pace, abbattendo “frontiere” difficili da superare, il Mahatma (titolo onorifico che in sanscrito significa “Grande anima”,) dedicò la sua vita al servizio dei più nobili ideali, spinto da un’ansia di giustizia, di verità, di uguaglianza sociale e di pace.
Eppure Gandhi, per i primi venti anni della sua esistenza, non si comporta diversamente da quello che avrebbe fatto un rampollo di buona famiglia quale egli era: High School e College a Mumbai, per poi imbarcarsi per Londra allo scopo di ottenere l’abilitazione alla professione legale. Dopo essere tornato in India, si reca per affari in Sudafrica, dove, per la prima volta, viene in contatto con la schiavitù in cui sono tenute le persone che non sono di etnia caucasica: viene allontanato da un treno e non gli è possibile affittare una camera a causa del suo essere indiano.
A causa delle umiliazioni subite avviene la svolta: nel 1894, all’età di 25 anni fonda il Natal Indian Congress, un’associazione per la difesa degli interessi indiani nell’Unione sudafricana. Gandhi abbandona il Sudafrica nel 1914, dopo ventuno anni di lotte lasciandosi alle spalle un Paese dove, grazie alle sue battaglie, sono state attuate importanti riforme a favore dei lavoratori indiani, eliminate parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconosciuti ai nuovi immigrati parità dei diritti e convalidati i matrimoni religiosi. Il Mahatma ritorna in India nel 1915 e decide di percorrere il paese in lungo e in largo, per incontrare l’anima indiana e conoscerne i bisogni. Al termine di questo lungo e quasi iniziatico viaggio, diventa, per acclamazione, il capo politico e morale del movimento d’indipendenza nonché il leader del Partito del Congresso, battendosi anima e corpo per l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Proprio come in Sudafrica, anche in India Gandhi elabora alcune strategie di boicottaggio per impedire ai britannici di sfruttare materialmente la nazione. Esorta così gli indiani a un ritorno a una vita agreste, lontana dalle modernità occidentali. In una situazione già tesa, il governo britannico, nel 1919, approva il Rowlatt Act, che estende in tempo di pace le restrizioni di libertà entrate in vigore durante la guerra.
Gandhi si oppone indicendo uno sciopero generale con astensione di massa dal lavoro, accompagnato da preghiera e digiuno. Gandhi viene arrestato. Scoppiano disordini in tutta l’India, tra cui il massacro di Amritsar durante il quale le truppe britanniche uccidono centinaia di civili e ne feriscono a migliaia.
La tensione è altissima ma Gandhi, il primo marzo del 1920, nonostante molti chiedessero l’avvio di una vera e propria insurrezione contro l’impero britannico, decide di dare inizio alla campagna di resistenza passiva e non violenta. La non-violenza di Gandhi non è sottomissione alla volontà di chi detiene il potere, ma la “ribellione della propria anima contro la volontà del tiranno”. Questo apparente segno di debolezza, in realtà cela una forza esplosiva che poi si estende a collettive forme di non collaborazione e di boicottaggio che nel corso degli anni successivi cominceranno a far scricchiolare l’enorme struttura dell’impero britannico sino all’indipendenza dell’India. (r.s.)