
A Pontremoli la conferenza sulle culture dei cammini e la via Francigena

Annunciatosi con il proposito di parlare per un’ora circa, il prof. Franco Cardini ha ampiamente sforato il termine senza peraltro subire alcun rimprovero da un pubblico che, sabato scorso, ha affollato numeroso la sala delle Stanze del Teatro e lo ha seguito con interesse, conquistato dalla dotta dissertazione del noto medievista fiorentino. Un fiume in piena: questa può essere la definizione più appropriata per la sua lectio magistralis su “Le culture dei cammini e la via Francigena”.
Dopo il saluto introduttivo del sindaco Lucia Baracchini (presenti anche i colleghi di Berceto e di Filattiera), che si è detta onorata di poter ospitare nella sua città uno studioso di tale rilievo, Cardini ha avviato la conversazione difendendo il valore della storia locale – “la storia o è locale o non è” – così significativa per territori come la Lunigiana e la stessa Pontremoli.
È necessario conoscere e la conoscenza non basta mai; non ci si può illudere di essere arrivati e si deve essere sempre disposti a ricominciare da capo. Questa idea include il “cammino” inteso come progresso, quindi come viaggio.
Qui, in una interessante digressione-confessione, il professore ha presentato se stesso ragazzo e poi giovane. Di famiglia popolare, povera ma non poverissima; il padre artigiano, che aveva fatto la V elementare ma lo portava a vedere i musei, a sentire i concerti. Lui stesso poco interessato allo sport e appassionato di cinema, cresciuto a forza di libri con il padre che si è “svenato” per farlo partecipare alle gite scolastiche. Così, all’inizio degli anni ’50, poté visitare l’Austria, la Francia, la Spagna: esperienze che lo hanno segnato per la vita. Poi individua il suo “altrove” nel Medioevo e nell’Oriente, che diventano oggetto dei suoi studi e gli permettono di conoscere altre culture e di scoprire che queste non sono inferiori ma “solo” diverse dalla nostra.

Riprendendo il filone principale della conferenza, Cardini ha indicato la strada come strumento che induce a darsi uno scopo, sia anche solo quello di rispondere alla semplice domanda su “cosa c’è dall’altra parte”. La strada non permette solo di andare “avanti” o “indietro” perché c’è tutta una rete di strade che avvolgono il mondo e permettono di andare in diverse direzioni.
Ma la strada non è indispensabile per “andare”; dice Machado che “non esiste un cammino, il cammino si fa andando”. Pellegrino, nel suo significato originale è chi “va per campi”, fuori di città, dove non ci sono strade e, per esempio, attraversando un prato, mentre calpesta l’erba segna lui stesso il sentiero. E, dice Dante in un sonetto, anche quando passa nelle città, vi transita come un estraneo – “Deh peregrini che pensosi andate, forse di cosa che non v’è presente” -, guardandosi dentro e non intorno.
Il pellegrinaggio si afferma tra il IX e il X secolo, quando il clima, diventato più caldo, permette di camminare e sostare all’aperto. Tre sono i grandi pellegrinaggi della cristianità. Il pellegrino vero e proprio è quello che va a Santiago di Compostela ed ha come simbolo la conchiglia; poi ci sono i “romei”, che percorrono la via Romea o la via Francigena per raggiungere Roma, e i “palmieri”, che vanno ai luoghi santi, a Gerusalemme. Il pellegrino è nomade e pertanto fa paura al sedentario perché puzza, può portare malattie, può rubare. L’agricoltore cura e difende i confini, il nomade deve muoversi in libertà, non accetta i confini: nel mondo primitivo tra le due specie c’è odio, rivalità.
Anche la Chiesa ha un atteggiamento ambiguo nei confronti del pellegrino perché il suo scopo è quello di fare penitenza per avere perdonati i peccati; quindi è un peccatore, un malfattore e più difficile è il pellegrinaggio, più grande è il peccato da scontare.
Il simbolo del pellegrinaggio – la conchiglia per Santiago, le chiavi di Pietro per Roma e la palma per Gerusalemme – è anche simbolo di infamia. La fortuna dei pellegrinaggi riprende nel XIX secolo, passato il periodo in cui la nascita del protestantesimo porta alla distruzione di tutto ciò che ad essi è legato: indulgenze, reliquie ecc. Significativi sono i diari dei pellegrini, che fanno parte della letteratura dei viaggi. Si inizia con Sant’Elena e con il ritrovamento della croce di Cristo; è S. Ambrogio che racconta la sua storia, che poi confluisce nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Alcuni sono veri e propri romanzi, come quelli scritti da Chateaubriand o da Loti; hanno diverse origini, sono scritti in lingue diverse; tanti sono anche falsi perché solo immaginati o copiati da altri. Infine, l’eterna diatriba su “via Francigena” o “vie Francigene”. Da molti è intesa come un’unica via lineare con un inizio ed una fine certi: da Canterbury – per il diario del vescovo Sigerico – a Roma. In effetti Sigerico precisa le tappe e le loro caratteristiche ma la Francigena non inizia da nessuna parte: c’è tutta una rete di “vie” e da qualche tempo si sta cercando di chiarire questo concetto con ricerche sul tema.
Lo stesso Franco Cardini, nei mesi scorsi, ha lanciato un progetto per la costituzione di un Centro internazionale studi sul pellegrinaggio che dovrebbe avere la sua sede a Berceto.
(a.r.)