
Domenica 19 maggio. V di Pasqua
(At 14,21-27; Ap 21,1-5; Gv 13,31-35)
Subito dopo l’Ultima Cena, Giuda si allontana diretto a tradire Gesù. E solo allora il Maestro dà il suo ultimo comandamento ai discepoli. Il Figlio conosce lo stato d’animo del traditore che ha sviluppato progressivamente dentro di sé un rancore sordo, che tracima ad ogni Sua ulteriore parola. Per questo aspetta che Giuda si allontani nella notte, e, solo dopo, dice tutto in confidenza e libertà. Non tanto per timore, quanto per non suscitare ulteriore disagio.
Sappiamo quanto sia difficile spiegare adeguatamente il nostro punto di vista alla presenza di qualcuno che nutre dei pregiudizi nei nostri confronti. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”.
Sta per avviarsi al Getsemani, sa che la sua passione è iniziata. Descrive la croce come un segno glorioso, il segno della fine inflitta a chi ha liberamente e per amore deposto la propria vita per gli altri. Ma Dio interverrà e Gli darà la propria gloria, risuscitandolo dalla morte.
Gli eventi delle ore successive sono sintetizzati qui non come una sconfitta o un fallimento, ma come una manifestazione della gloria di Dio che dà salvezza. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.
Sono le sue ultime volontà, il comando riassuntivo di tutta la Legge; un comandamento ultimo e definitivo, dopo il quale non ve ne saranno altri. Sarebbe stato ragionevole che dicesse: “Amatemi”, invece di “Amatevi”. Giovanni comprende il senso di queste parole, e lo spiega nella sua prima lettera: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio dimora in noi e l’amore di lui è compiuto in noi”.
Dio è presente proprio in quell’amore reciproco e in queste relazioni disinteressate e generose si sente davvero amato, perché così è realizzata la sua volontà. L’amore non può non essere amore di Dio e amore per i fratelli e le sorelle ovvero amore di Dio che, in noi, si fa amore per gli altri. L’altro, se è fratello nella fede, risponde con amore. Questo è il luogo della presenza di Dio. Ma, anche se il fratello non risponde come ci aspettiamo, dobbiamo perseverare, perché questa è la volontà di Gesù.
Quando amiamo l’altro dandogli da mangiare, da bere, vestendolo, visitandolo in carcere o nella malattia, amiamo il Figlio, presente più che mai davanti a noi. Il discepolo ama l’altro come lo ama il Maestro, accogliendolo com’è, perdonandolo, prendendosi fedelmente cura di lui, rendendolo fratello o sorella fino alla morte, fino al dono della vita. Gesù è Maestro soprattutto nell’arte di amare.
Tanti, non tutti disinteressati, lamentano “la morte di Dio” nel mondo contemporaneo. Ma non è vero, perché , fino a quando c’è un frammento di amore vissuto tra gli umani là Dio è presente. La salvezza, ossia la vita di ciascuno di noi, dipende dall’osservanza di questo comandamento: “Amatevi gli uni gli altri”.
Pierantonio e Davide Furfori