
La cerimonia si è tenuta al Convento degli Agostiniani

“Le mie radici -Alfredo Sasso torna a casa” così si intitolava la cerimonia di sabato scorso a Fivizzano per il conferimento allo scultore della cittadinanza benemerita, deliberata dal Consiglio comunale il 29 marzo scorso. La motivazione, letta dall’Assessore Francesca Nobili, riporta fra l’altro: artista di fama internazionale in grado di interpretare in modo eccellente e geniale i linguaggi della scultura e della pittura, avendo realizzato opere importanti e famose con tecniche differenziate ed espressioni artistiche il una molteplicità di materie diverse olio su tela, marmo, bronzo,mosaici esposti ed ammirati in tutto il mondo. Un riconoscimento meritato all’artista nato nel 1946 nella cittadina lunigianese nella quale il padre, di origini piemontesi, si trovava in servizio come comandante della stazione forestale, la mamma Bruna Bontempi era di Pontremoli. Il pomeriggio fivizzanese si è svolto all’interno della splendida sala del Museo di San Giovanni nel Convento degli Agostiniani, dove sono state esposte alcune opere del Maestro e dove scultura e pittura hanno interagito con la musica. Infatti il soprano Sara Cappellini Maggiore, molto applaudita dal pubblico presente si è esibita in alcune celebri arie operistiche. Sono intervenuti alla cerimonia diversi artisti colleghi dello scultore Sasso, mentre Letizia Vaioli, che ha curato anche i testi del catalogo dell’artista e il gallerista Augusto Palermo hanno cercato di accennare all’arte di Alfredo Sasso.

Quest’ultimo, dopo qualche insistenza da parte del pubblico, ha accettato di raccontarsi un po’, parlando di come sono nate alcune sue opere e riferendo alcuni divertenti espisodi della sua vita, a partire dagli esordi come scultore: “non volevo fare l’artista, ho fatto l’Accademia di belle arti di Carrara,perchè a me studiare non piaceva e non mi piaceva avere un orario, all’Accademia entravi e uscivi quando volevi..libertà assoluta. Finisco l’Accademia vengono a cercarmi per fare una grande scultura e io chiedo: ma perché proprio me, ero timido. Ci sarebbe da fare una scultura grande per gli Stati Uniti e il direttore dell’Accademia dice che l’unico che può fare monumenti grandi è Sasso”. La richiesta era un monumento per il bicentenario dell’indipendenza americana, inaugurato nel 1976. L’opera, 60 tonnellate di scultura, viene sistemata alla Columbia University di New York. Dopo gli anni dell’Accademia di Carrara, Alfredo Sasso è assistente di Jacques Lipchitz. Alla fine degli anni Settanta apre uno studio a New York, quindi è docente alla Salzburg Summer Academy of Art. Numerosi sono i riconoscimenti, tante le mostre allestite in Europa e nel mondo e Sasso si afferma come scultore originale, attento all’uomo, all’umanità, ai limiti, che si fanno nella sua scultura, gabbia nella duplice accezione di contenitore che trattiene l’individuo, che lo definisce ma che contemporaneamente lo accoglie perchè dimora in esso in quanto nell’abitare avverte il senso della protezione. E se la sua scultura è deteminata e nei tratti fortemente definita, la sua pittura al contrario sembra darci il senso di ciò che è sul punto di svanire, segna il confine tra scomparire e apparire in un continuo gioco di rimandi fra passato e presente. Il suo maestoso re che contiene in gabbia una figura sollecita numerose riflessioni e in chi scrive, ha suggerito affinità con L’Infinito leopardiano. Ma questo è un altro discorso che non può essere sviluppato qui. In quel bel pomeriggio fivizzanese aver incontrato il maesto Alfredo Sasso è stato un grande piacere, di quei piaceri che solo l’arte sa offrirti. Di questo oggi più che mai abbiamo bisogno. Fabrizio Rosi