
Elezioni regionali: vince Solinas, centrodestra; ottimo secondo Zedda, centrosinistra

Martedì pomeriggio 26 febbraio, a causa del complicato sistema elettorale, non sono ancora disponibili i risultati definitivi delle consultazioni regionali in Sardegna di domenica 24. Tuttavia, mancando poche sezioni, si può dire che i giochi siano fatti. Sintetizzando, si può dire che a perdere, nonostante i proclami di Di Maio, sia il Movimento Cinque Stelle.
Il centrodestra, netto vincente, è attraversato dalla diatriba tra Lega e Forza Italia sulle future alleanze e sulla sorte del governo. Il centrosinistra, che avrebbe pagato per il risultato ottenuto, deve fare i conti sulle formule di stampo ulivista che hanno permesso, se non il successo, almeno una sconfitta onorevole.
Nel dettaglio, senza tener conto dei decimali che usciranno dai risultati definitivi, Christian Solinas, centrodestra, sarà il nuovo governatore della Sardegna con il 48% dei voti; Massimo Zedda, centrosinistra, è al 33%; Francesco Desogus M5stelle si è fermato all’11%.
Le sorprese vere e proprie si riscontrano nei risultati dei partiti, con il Pd che naviga verso il 14% e si afferma come primo partito della regione, la Lega che supera di poco l’11%, il Partito sardo d’azione e il M5S attorno al 10%, ma con quest’ultimo al quarto posto se i decimali dovessero essere confermati. In termini di voti, il partito di Di Maio segna un calo vistoso rispetto alle politiche dello scorso anno: ne ottenne 360mila (42%) e oggi non raggiunge i 70mila: circa 300mila voti in meno. Quinta risulta Forza Italia con l’8% dei consensi.
Quanto all’affluenza alle urne, in Sardegna cresce rispetto alle precedenti regionali, passando dal 52,2% al 53,7%.
Il centrodestra, quindi, celebra la vittoria attraverso le dichiarazioni di Solinas che inizia con il problema più scottante, ricordando che sarà sua cura “convocare tutte le parti per affrontare col governo la questione della filiera del latte per una soluzione di sistema”. Promette anche di “restituire certezze sul rapporto tra urbanistica, ambiente e paesaggio” perché, spiega, la tutela ambientale è un valore, non un dogma.
Per i riflessi che i risultati sardi avranno a livello nazionale – nonostante gli sforzi di Berlusconi per richiamare “all’ovile” la pecora smarrita Salvini – proprio nelle mani di quest’ultimo è la palla e quindi le regole del gioco cui dovrà sottostare il centrodestra.
Per ora si accontenta di ironizzare sul Pd – “battuto 6 a zero” – e di garantire che nessuna ripercussione si avrà sul governo, definendo “non a rischio l’alleanza” sulla quale lo stesso di basa. Libero di dirlo, ma liberi gli altri di nutrire qualcosa di più di un dubbio sulla veridicità delle sue affermazioni.
Per primo Di Maio, che rischia di essere indicato come capro espiatorio dell’insuccesso M5S. Un insuccesso negato dallo stesso, che respinge il confronto tra politiche e amministrative e dichiara la sua soddisfazione per l’ingresso, per la prima volta nella storia, del M5S nel Consiglio regionale sardo. Non esita a definire il M5S “vivo e vegeto”, ma poi annuncia “importanti novità” sulle regole interne del Movimento: salterebbero il limite di due mandati per i consiglieri regionali e si aprirebbe la possibilità di accordi elettorali con liste civiche.
Dichiarazioni da prima repubblica in decadimento (quando, all’indomani delle elezioni, tutti avevano motivo per dichiararsi vincitori) e regole sempre più in stile partito “normale”: cosa non si fa per tirare a campare! Si vedrà se questo basterà a sedare la fronda dei dissidenti che vorrebbero la sua testa.
Intanto si può registrare un successo per tutti: da qualche giorno Di Battista non ci stressa più con le sue sentenze! Persi tra le pieghe delle polemiche, restano il governo e, soprattutto, il Paese.
Tutto, lo avevamo già scritto in precedenza, sembra sospeso, in un clima da bella addormentata nel bosco. Anche i provvedimenti di bandiera (specie il cosiddetto reddito di cittadinanza) mostrano la corda, per non parlare di temi di rilievo come Tav, bonus per le auto non inquinanti ed altri ancora.
Se Tria si permette di esprimere il suo parere sulla necessità di coerenza tra i governi che si susseguono, viene redarguito da Toninelli perché non tiene in debito conto il contratto. Se Conte cerca di affermare il suo essere presidente del Consiglio, ci pensano i due vice a rimetterlo in riga e a dimostrare chi comanda realmente a palazzo Chigi.
L’impressione conclusiva è che tutto stia in equilibrio se nessuno muove niente, ma con i dati economici negativi ormai incontestabili, è proprio di una capacità di azione alla ricerca di soluzioni strutturali e non di facciata che il Paese avrebbe bisogno.