Da Brugnato e da Luni, due vescovi, due parti, una “quasi città”: il Quattrocento pontremolese

La permanenza del vescovo di Luni nella cittadina durò circa trent’anni. Il presule brugnatense si era invece trasferito stabilmente nel borgo fin dal 1294 trasformandolo de facto in diocesi. Legato in precedenza agli Enreghini, quando il vescovado giunse nelle mani degli Uggeri si avvicinò ai Villani.
Un interessante contributo della dott.ssa Olga Ricci scaturito dalla apprezzata conferenza tenuta nei giorni scorsi all’UniTre Pontremoli-Lunigiana

Particolare dell’antica pietra con inciso il labirinto conservata nella chiesa di San Pietro in Pontremoli, già della diocesi di Brugnato
Particolare dell’antica pietra con inciso il labirinto conservata nella chiesa di San Pietro in Pontremoli, già della diocesi di Brugnato

Tra il 1438 ed il 1469 Pontremoli, un centro urbano non vescovile, una “quasi città” appartenente territorialmente alla diocesi di Luni, vide la coabitazione all’interno delle sue mura di due prelati: quello di Brugnato, prima Antonio Uggeri e poi il nipote Bartolomeo, pontremolesi di Cacciaguerra infra, e quello di Luni, Francesco da Pietrasanta, lucchese di origini milanesi, figlio di Guido, segretario e cancelliere di Paolo Guinigi, signore di Lucca dal 1400 al 1430.
Se la permanenza del vescovo di Luni nella cittadina durò circa trent’anni, dal 1438 fino alla sua morte avvenuta nel 1469, il presule brugnatense si era trasferito stabilmente nel borgo fin dal 1294 trasformandolo de facto in diocesi.
All’interno di una comunità già instabile e partigiana, la coesistenza nel medesimo luogo di due vescovi rese la situazione ancora più tesa e quotidiane la violenza e la vendetta. I due vescovi, entrambi residenti nel borgo inferiore, ma naturalmente in due chiese diverse, furono inevitabilmente coinvolti nel gioco delle parti: il vescovo di Brugnato, legato in precedenza agli Enreghini, soprattutto durante la dominazione fiesca, quando il vescovado giunse nelle mani degli Uggeri si avvicinò ai Villani, i principales del borgo inferiore; il vescovo di Luni, più accorto e scaltro, pur dimostrando la sua fedeltà nei confronti dei duchi di Milano, fu poco propenso a sposare la causa degli Enreghini, i maggiorenti del borgo superiore.
Nella seconda metà degli anni Sessanta del Quattrocento, inoltre, Galeazzo Maria Sforza cercò di concretizzare l’intento di elevare Pontremoli a vera e propria sede vescovile: tentativo fallito per la riluttanza delle autorità ecclesiastiche a concedere alla cittadina l’honor civitatis, probabilmente a causa dell’instabile situazione interna ed anche in conseguenza del fatto che, in quegli stessi anni, la vicina Sarzana, controllata dai Medici, era stata insignita della medesima onorificenza.
Le motivazioni dell’esilio volontario del vescovo di Brugnato a Pontremoli, senza un trasferimento formale della sede episcopale, appaiono poco chiare: il presule avrebbe abbandonato Brugnato per timore degli scontri tra guelfi e ghibellini che stavano coinvolgendo Genova; si sarebbe dunque rifugiato a Pontremoli, nel borgo inferiore, nel monastero benedettino di San Pietro de Confluentu, da tempo dipendente da Brugnato; in seguito, a causa delle lotte interne, dovette scappare anche da lì per stabilirsi nella chiesa di San Geminiano nel borgo superiore, dove rimase almeno fino alla metà del Trecento.
Pare verosimile, comunque, che alle origini del trasferimento a Pontremoli debba esserci l’influenza dei Fieschi, che non avevano mai perso le speranze di instaurare una signoria duratura sul borgo e quindi approfittarono della situazione contingente per rafforzare il loro controllo sull’entroterra “oltre giogo”. Il trasferimento del vescovo di Brugnato a Pontremoli, territorio appartenente alla diocesi di Luni, rese il borgo toscano una sorta di “terra di frontiera” nella quale convergevano e si scontravano inevitabilmente gli interessi delle due diocesi limitrofe.
Se il vescovo di Brugnato con il tempo divenne, nei fatti, il vescovo del borgo toscano, la decisione di spostare la residenza da Sarzana a Pontremoli da parte del vescovo di Luni, Francesco da Pietrasanta, si presentò invece del tutto imprevista. Francesco da Pietrasanta ebbe una brillante carriera ecclesiastica: all’inizio del Quattrocento, giovanissimo divenne canonico della cattedrale lucchese di San Martino e successivamente cameriere segreto dell’antipapa Giovanni XXIII, il quale lo nominò vescovo in sostituzione di Jacopo Rossi, trasferito a Napoli in seguito allo scisma che aveva diviso la diocesi di Luni dal 1407 al 1415. Agli inizi degli anni Venti, poco dopo la sua nomina, Francesco da Pietrasanta dovette abbandonare Sarzana a causa dell’avvento al potere dei Campofregoso e della caduta in disgrazia del padre, accusato di tradimento da Paolo Guinigi e condannato dapprima all’esilio con confisca di tutti i beni, poi alla pena capitale.
Francesco dunque, osteggiato dai Campofregoso, alleati di Paolo Guinigi, abbandonò giocoforza l’ambiente sarzanese ed in un primo momento non ebbe una residenza stabile, ma si trattenne saltuariamente in vari centri minori della Lunigiana; soltanto a partire dal 1438 decise di fermarsi stabilmente a Pontremoli dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1469.
La convivenza a Pontremoli dei due vescovi, quello di Brugnato e quello di Luni, rese se possibile ancor più evidente l’orientamento che essi ebbero nelle diatribe cittadine: risultano estremamente paradigmatici in questo senso alcuni episodi risalenti agli anni Sessanta del Quattrocento, contraddistinti da una forte recrudescenza dei contrasti e soprattutto dall’intensificarsi di violenze e vendette, alle quali i due prelati non furono del tutto estranei e si può arrivare a supporre che potessero esserne anche causa o effetto. Concessioni di benefici ecclesiastici, ordinazioni sacerdotali, ma soprattutto le elezioni vescovili ci permettono di fare chiarezza sulla ingarbugliata situazione che la presenza dei due vescovi generò; ancora una volta il testimone oculare e impareggiabile cronista fu Giovanni Della Porta, il commissario ducale inviato nel borgo da Francesco Sforza nel novembre del 1462. È proprio la corrispondenza del Della Porta, con Francesco Sforza prima e Galeazzo Maria dopo, che testimonia la rivalità tra i due vescovi ed i loro orientamenti politici. Oltre ai due prelati, gli altri protagonisti di tali vicende furono i maggiorenti locali: Bernabò Enreghini, capo parte del borgo superiore, e Antonio Villani, capo parte di quello inferiore; coprotagonisti furono anche i due figli, Giorgio Enreghini e Giovanni Lorenzo Villani, entrambi religiosi dalla promettente carriera ecclesiastica.

Olga Ricci