La situazione demografica continua a peggiorare nel nostro Paese; ogni anno che passa le culle sono sempre più vuote, nascono sempre meno bambini e si è arrivati ad una media di 1,34 figli per donna. Una società, la nostra, che invecchia in modo costante e sempre più rapido, nella quale fare figli non è più una priorità.
Il quadro che emerge dal rapporto Istat su “Natalità e fecondità della popolazione residente” è stato definito “inverno demografico”. Dunque una stagione del tutto negativa per quanto concerne l’apertura alla vita e che riguarda sia le coppie italiane che straniere.
Pare che le cause di tale drastica riduzione della natalità siano riconducibili a due ordini di ragioni.
La prima riguarda la diminuzione del numero di donne in età feconda; la seconda trova, invece, le sue radici nella crisi economica che dal 2008 si è abbattuta su ciascuno di noi ed i cui effetti continuano ancora ad essere tangibili. Un fatto positivo è la conferma del “bonus bebè” nella Legge di bilancio, ma decisamente discutibile il suo dimezzamento per gli anni 2019 e 2020.
Dagli ottanta euro mensili del 2018, si passa a molti meno. Sicuramente servirebbero, nel campo sociopolitico, leggi mirate per tutelare e supportare le famiglie, specialmente laddove lavorano entrambi i genitori, con strutture adeguate per aiutare le giovani coppie a ritrovare la speranza e l’amore al dono della vita.
L’aumento delle culle vuote significa condannarsi all’estinzione. Andando avanti di questo passo è stato calcolato che, nel rapido passare di pochi anni, tre quinti dei bambini dovranno fare a meno di quella rete protettiva familiare costituita da fratelli, zii, cugini….
Ci sono la crisi, la carriera, i costi della scuola, dei corsi di danza, di nuoto, di musica. Insomma, in tutto questo marasma, i bambini non sono “convenienti”, come se entrassero in competizione con le vacanze, con il mutuo, l’auto e quant’altro.
Urge investire concretamente nel sostegno alla genitorialità e alla famiglia soprattutto a partire dalle donne sulle quali in maggior misura gravano gli impegni familiari, fra cui anche i sacrifici per accudire gli anziani o figli con handicap. Non possiamo, però, non fare alcune riflessioni sulla vita, valore primario rispetto a tutti i beni dell’esistenza, che conserva la sua preziosità dall’attimo del concepimento all’ora del trapasso terreno. Del resto è la persona che governa la tecnica, e non viceversa. La persona, e non la ricerca o il profitto, è il fine.
Pensare di conquistare libertà e felicità chiudendosi al dono dell’esistenza è un tragico inganno che produce, al contrario, la schiavitù e l’insoddisfazione di chi lascia che a costruire il futuro siano i desideri soggettivi. Detto ciò, va anche ammesso che la maternità non è più una scelta collettiva.
Ed allora ci si chiede se, oggi, la procreazione sia degna di senso oppure sia un’esperienza della quale si può benissimo fare a meno. È questa, forse, la domanda delle domande.
Ivana Fornesi