Lo raccomanda la Santa Sede. In dialogo con le comunità civili
Costi di gestione e manutenzione dei beni mobili e immobili, secolarizzazione avanzata e fuga dei fedeli, urbanizzazione e calo demografico nei piccoli paesi, diminuzione del clero sono all’origine del fenomeno delle chiese dismesse. Un mix che rende necessario un ripensamento della gestione del patrimonio culturale ecclesiastico, in particolare dei luoghi di culto la cui dismissione (e successiva nuova destinazione) costituisce un fenomeno in aumento e che pone non poche sfide.
Ad offrire criteri e orientamenti per la gestione di questo delicato processo è il documento “La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese. Linee guida” pubblicato sul sito del Pontificio Consiglio della cultura, il competente Dicastero della Santa Sede guidato dal card. Gianfranco Ravasi ed è stato approvato dai delegati delle Conferenze episcopali di Europa, Canada, Stati uniti d’America e Australia a conclusione del convegno “Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici” tenutosi a novembre.
Le linee guida propongono alle comunità ecclesiali (Conferenze episcopali, diocesi, parrocchie, istituti religiosi) strumenti per affrontare il fenomeno. Presupposti essenziali: la necessità di preservare le chiese dismesse da un riutilizzo improprio (quello che tecnicamente si definisce “sordido”) e di prevenire situazioni che possano offendere il sentimento religioso della comunità cristiana. Fondamentale coinvolgere le comunità cristiane locali e cercare un’intesa con le comunità civili e tutti i soggetti pubblici e privati affinché i progetti di trasformazione “siano sostenibili dal punto di vista tecnico, economico, sociale e culturale” e si inseriscano come tasselli all’interno di “una storia di identità comunitaria storicizzata e plurale”.
“La cura del patrimonio culturale religioso è responsabilità principalmente di tutta la comunità e in particolare di quella ecclesiale”; la sua conservazione “è idealmente avviata dalla comunità religiosa” e realizzata in collaborazione con i professionisti della conservazione, tutti gli interessati e le autorità dello Stato preposte, la prima raccomandazione.
È indispensabile prevedere per i futuri preti e per i vescovi di recente nomina una formazione specifica sui beni culturali, sul loro valore artistico e per l’evangelizzazione, che oltretutto li metterebbe in grado di interloquire con tecnici e funzionari statali. Presupposto ineludibile l’inventario dei beni mobili e immobili (e il catalogo per quelli di interesse culturale) che ogni ente ecclesiastico dovrebbe redigere, mentre è auspicabile la realizzazione di un manuale internazionale di catalogazione.
Secondo le Linee guida, “la grave decisione di cambiare la finalità di edifici costruiti come luoghi per il culto cristiano”, nel rispetto della normativa canonica e civile, dovrebbe coinvolgere nella riflessione i diversi soggetti ecclesiali implicati (intero popolo di Dio, vescovo, parroco, consiglio pastorale, ordini religiosi, associazioni e movimenti , confraternite, operatori pastorali e parrocchiani) per trovare con realismo la giusta soluzione.
Importante, in caso di alienazione di edifici sacri, prevedere negli atti delle clausole a tutela degli edifici stessi. Il documento della Santa Sede invita inoltre ad assicurare all’edificio dismesso un uso compatibile con l’intenzione originaria della sua costruzione. Da escludersi riutilizzi commerciali a scopo speculativo. Preferibili adattamenti con finalità culturali – musei, aule per conferenze, librerie, biblioteche, archivi, laboratori artistici – o sociali e caritativi quali spazi di incontro, centri Caritas, ambulatori, mense per i poveri.
Per quanto riguarda il patrimonio mobile proveniente dalle chiese dismesse (arredi, suppellettili, immagini, paramenti) – fatto salvo quello vincolato dalla legge dello Stato – le Linee guida esortano a ricercare una sua continuità d’uso e di vita presso chiese limitrofe che ne sono sprovviste, o presso Chiese povere come segno di condivisione fraterna. I manufatti sottratti alla loro destinazione originale e di particolare pregio dovrebbero essere collocati – registrandone la provenienza – in un museo, preferibilmente ecclesiastico. Qualora esistano, occorre seguire le indicazioni delle Conferenze episcopali in materia.