Viaggio in Lituania, Lettonia, Estonia
In questi giorni, dal 23 al 25 settembre, papa Francesco ha visitato la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. Si tratta di Paesi con culture molto diverse dalle nostre anche se appartenenti all’Unione Europea e praticamente alla sua periferia. Sono Paesi molto diversi tra loro pur avendo alle spalle storie simili. Storie quasi sempre dolorose in quanto, dalla loro recente costituzione come Stati indipendenti (circa cento anni), hanno subito tutte le tragedie più sanguinose del ventesimo secolo.
Dapprima furono ostaggio del nazismo, quindi del comunismo più becero. P. Kulbokas, oggi alla Segreteria di Stato Vaticana, in un racconto articolato della sua esperienza ricorda che la sua famiglia era cattolica ma… “Mio padre era membro del partito comunista, sono stato quindi battezzato, all’età di un anno, a 240 chilometri di distanza dalla mia città e il mio nome era stato iscritto in un registro clandestino della parrocchia. Mia madre aveva studiato medicina e andava regolarmente in chiesa, ma quando iniziò a lavorare come medico in un ospedale, un giorno le fu detto che lei e altre due colleghe erano state viste entrare in una chiesa e che non avrebbero dovuto più farlo”.
La delazione era all’ordine del giorno e lui non sentì mai più parlare di Dio nella sua casa. I motivi erano evidenti. La sua patria è la Lituania, terra a maggioranza cattolica. Ed è in quella terra che non ha perduto le sue dimensioni di fede che il papa è andato come pastore a far visita.
Ma i tre Paesi sono molto diversi tra di loro. In Lituania oltre il 70% si dichiara cattolico, il 15% si dichiara ateo o agnostico, il 4% ortodosso, il 2% protestante. La vicina Lettonia propone un panorama dove la maggior parte dei credenti sono luterani (24,3%), il 18,8% cattolici, il 15% ortodossi orientali. Più complicato il volto religioso dell’Estonia: il censimento del 2000 contava 152.000 luterani, 143.000 ortodossi, 5.000 cattolici, ma questo risulta essere il paese meno religioso al mondo: oltre il 76% degli abitanti afferma di non seguire alcun credo religioso.
In questo contesto si è svolta la visita del Papa: non si va soltanto dove ci sono folle acclamanti (qualcuno misura la qualità del pontificato di Papa Francesco dal numero di presenze durante i suoi viaggi), si va anche dove c’è una piccola porzione di popolo di Dio che ha bisogno di sostegno e di incoraggiamento. In Lituania il Papa ha inviato un forte monito a rifiutare le ideologie della violenza ed ha richiamato l’attenzione per scoprire in tempo il germe dell’antisemitismo.
L’occasione è data dalla ricorrenza del 75° anniversario della distruzione del ghetto di Vilnius da parte dei nazisti. Il cuore del suo viaggio in Lituania è stata la visita al Museo delle occupazioni e lotte per la libertà. È una cupa testimonianza delle persecuzioni subite dalla società e dalla Chiesa durante l’occupazione nazista e sotto il dominio sovietico.
Papa Francesco ha voluto ricordare i lituani che “hanno sofferto nella loro carne il delirio di onnipotenza di quelli che pretendevano di controllare tutto” invitando nel contempo a promuovere “creativi sforzi nella difesa dei diritti di tutte le persone, specialmente dei più indifesi e vulnerabili”.
Al clero e ai religiosi ha consigliato di stare più vicino al Tabernacolo e alla gente. “La vita al seguito di Gesù non è la vita di un funzionario”, “il Signore vuole pastori di popolo e non chierici di stato”. I temi toccati nella visita in Lettonia, seguita con grande interesse, come per altro in Lituania, riguardano l’ecumenismo. Invita tutti i cristiani, cattolici, protestanti, ortodossi a non ridurre la propria fede ad un oggetto del passato, chiusa tra le pareti delle nostre chiese. Li esorta ad un ecumenismo in chiave missionaria, a superare le ferite del passato e di uscire per raggiungere il cuore della gente.
Alla celebrazione, oltre al papa, sono presenti l’arcivescovo luterano Janas Vanags, il metropolita ortodosso e un pastore battista. Ancora una volta il Papa invita a stare accanto a tutti gli scartati della società e invita a far sì che l’economia non debba avere il primato sulle persone. In tempi di chiusure e di diffidenze bisogna scommettere sulla fraternità.