
Giovane autrice (Biella 1984), Silvia Avallone si è affermata presso pubblico e critica nel 2010 con la sua opera di esordio “Acciaio” (film nel 2012 ) per proseguire poi con il meno intenso “Marina Bellezza” nel 2013. Si ripresenta oggi con “Da dove la vita è perfetta” (Ed.Rizzoli pagg. 379 euro 19,00), ambientato a San Martino sul Panaro (immaginario) nei pressi di Bologna in un quartiere degradato denominato “i lombriconi” dove vite dissestate si trascinano verso nessun possibile futuro.
Con un lungo flash-back entriamo per conoscere i destini incrociati di vari personaggi che si arrabattano con diverse aspirazioni. C’è Adele, bella ragazza di diciotto anni in una famiglia disfunzionale con una sorella minore (Jessica, che a scuola disdegna l’italiano ma è un genio con i numeri), una madre (Rosaria, napoletana verace e fuori luogo abbandonata dal marito) in un contesto in cui Adele si innamora ricambiata del bullo del quartiere (Manuel) bel ragazzo intrappolato in traffici poco puliti che la mette incinta.
La vicenda parte da qui con la ragazza che decide di tenere la figlia (la chiamerebbe Bianca) ma di non riconoscerla per farla adottare per garantirle un futuro diverso dal suo. Del resto Manuel è finito in carcere e non vuol essere un padre. Attorno ruotano altre figure che nella loro singolarità non sono altro che possibili varianti di situazioni al limite: Dora a trent’anni e con un arto artificiale è sposata e non può avere figli, insegna e tra i suoi allievi predilige Zeno, ragazzo mite e sognatore (sta scrivendo o forse immaginando un romanzo) amico di Manuel che cerca invano di far deflettere dai suoi propositi malavitosi vivendo nel quartiere in un appartamento da cui può seguire i movimenti nella casa di Adele di cui si innamora da lontano.
Riuscirà a diventare per Adele una sorta di confidente per sognare per lei qualcosa di diverso mentre per lui , grazie all’interessamento di Dora, si potrebbero aprire le porte dell’università. Ma anche Zeno incastrato tra una madre letteralmente annegata in una profonda depressione e con un padre lontano e tossico i lacci della vita si prospettano piuttosto stretti fino al vincolo totale.
Potrebbe sembrare un feuilleton senza speranza ma non è così. L’autrice riesce a sfuggire alle trappole del genere con una scrittura ricca quanto puntuale che nel vorticare delle situazioni riesce a tenere la barra dritta per un discorso che evita facili metafore per raggiungere e precisare uno scacchiere in cui i personaggi assumono le caratteristiche certamente emblematiche ma con una precisa originalità.
Il quadro del quartiere si allarga verso un discorso accorato e convincente teso da una parte a denunciare senza pregiudizi gli orrori di una società indifferente ma anche dall’altra a porgere al lettore la proposta del valore della scrittura (e ovviamente della lettura) come viatico di sostegno per muovere la fantasia verso la pratica dell’agire.
Nessun sotterfugio, nessun trucco né abbellimento ingiustificato ma un procedere coerente, le emozioni si fondono con lo sguardo critico perchè i personaggi assumano alla fine il ruolo di persone. Avallone si è laureata a Bologna in filosofia, specializzata in lettere con una tesi su Elsa Morante. Vorrà pur dire qualcosa.
Ariodante Roberto Petacco