I testamenti di Alessandro Malaspina a confronto
Malaspina
Alessandro Malaspina (Mulazzo 1754 – Pontremoli 1810)

Dopo la gloriosa spedizione politico-scientifica, l’ ammiraglio della Real Armada di Spagna Alessandro Malaspina (Mulazzo 1754 – Pontremoli 9 aprile 1810) conobbe l’invidia dei cortigiani, fu recluso per sei anni, liberato alla fine del 1802 per intervento di Napoleone, si ritirò a Pontremoli a San Pietro, malato e coinvolto in vertenze giudiziarie col fratello Luigi.
Nel 1806 fece un primo testamento che, a lungo ricercato, “spuntò da solo” nell’Archivio Notarile di Pontremoli per merito di Marco Angella, che lo ha pubblicato in un articolo steso con Dario Manfredi – il più completo e profondo studioso di Alessandro Malaspina con oltre sessanta saggi e libri e relazioni in convegni internazionali – sul Giornale Storico della Lunigiana 1998-2000.
Un secondo testamento olografo il Malaspina lo depositò il 7 febbraio 1810, due mesi prima della morte; è stato pubblicato nel 1929 da Carlo Caselli e poi da Nicola Michelotti. Alcune differenze tra i due documenti. Nel primo raccomanda l’anima alla SS.Trinità, nel secondo annulla questo affidamento. In entrambi dispone che nella sepoltura non vi sia lusso, che siano celebrate 150 Messe divise in parti uguali a San Pietro, Mulazzo e Madonna del Monte, ma furono molte di più: 334 distribuite in tutte le chiese di Pontremoli e altre 149 nel trigesimo.
Differenze riguardano piccoli lasciti ai servitori in francesconi, scudi e zecchini, mobilia, biancheria e vestiti. L’amministratore degli affari in Toscana è sostituito con Andrea Pavesi a cui lascia libri inglesi, stampe e “cordiale amicizia”.
All’agente di Mulazzo, Luigi Lorenzelli, lascia la casa in paese, soldi e parte di mobilia, biancheria e vestiti. Alla sorella Teresa, suora alle Murate di Firenze, un po’ di denaro. L’eredità di mobili, immobili, semoventi, ragioni ed azioni alla sorella Metilde abitante a Benevento e, in mancanza, all’unica sua figlia Teresa.
Nel 1806 era indicato di intavolare lite col fratello Luigi, nel 1810 si invitano gli eredi a “non lasciarsi persuadere da veruna animosità”. (m.l.s.)