
Il riconoscimento della diversità e dei diritti del “diverso” quale soggetto titolare di istanze umane incalcolabili è una conquista piuttosto recente. Il lungo iter umano, civile, politico del paradigma dell’integrazione è stato contrassegnato da colpevoli indifferenze, da opposizioni camuffate, da dichiarazioni autoesaltanti di presunti meriti di paternità.
L’accettazione dell’altro, del diverso, del disabile, dello straniero, dell’handicappato apre alla concezione dell’uomo ampiamente condivisa e connotata da un valore autonomo, da una dignità peculiare, da un significato proprio. Il messaggio cristiano ha rotto gran parte della cultura prevalente; ha dischiuso un nuovo e luminoso orizzonte offrendo indicazioni concrete che, solo alla soglia del terzo millennio, hanno avuto riscontri operativi nelle culture laiche, nelle filosofie mondane e nelle ideologie secolari. Non si fa fatica a dimostrare che il concetto di persona, proposto dal messaggio evangelico ed elaborato dall’intera sintesi cristiana, rappresenti il più alto riconoscimento della dignità e del valore dell’uomo, senza alcuna distinzione o differenza sostanziale.
Ogni uomo nella sua irripetibilità individuale è, al contempo, persona in se stesso e diversità rispetto ai suoi simili. Ovunque la persona porti la propria luce, la natura, il corpo, la spiritualità… ivi è presente la sua dignità. La perfezione sta nella libertà e nella dignità di ogni uomo che, come dice Mounier, “nella tragicità della sua concezione ottimistica incontra non già la caduta e lo scacco, ma la sua grandezza”.
Tutte le antropologie e tutti gli umanesimi che rifiutano la persona quale imprescindibile fondamento intrinseco di valore e di riferimento non riescono, poi, a legittimare all’uomo priorità. Se non si vuole propiziare l’accelerazione del declino dell’uomo, occorre assumere piena consapevolezza della necessità del rispetto e della piena accettazione dell’altro, del tu, del “diverso” da considerare “alter ego”. L’altro, che vive accanto a noi, conferisce valore intrinseco e sussistente; divenendo risorsa rompe il nostro “guscio” intessuto, spesso, di egoismo, comunque e sempre sterile.
È in nome della persona che è possibile comprendere ed accettare, in modo naturale, la differenza e la diversità interpretando le rotture, le lacerazioni, le recessioni, le cadute, le limitazioni… senza la zavorra dell’intolleranza, dell’incomprensione, della beffa, dell’indifferenza e della condanna. Nella consapevolezza che “diversità” è un valore e una risorsa.
Del resto, la perfezione dell’universo personale “incarnato” non si identifica con la perfezione di un ordine costituito rigido ed universale. Nessuno di noi deve dimenticare che la persona, ad ogni latitudine, con il suo incommensurabile valore, è un dono per un’antropologia che sa mettere al centro l’uomo quale principio che non si può tralasciare dell’autenticità umana. Sinonimo di progresso e di civiltà.
Ivana Fornesi