Fammi conoscere, Signore, le tue vie. La chiamata dei primi quattro apostoli

Domenica 21 gennaio, Terza del tempo ordinario
(Gio 3,1-5.10;   1Cor 7,29-31;   Mc 1,14-20)

03vangeloLa chiamata dei primi quattro apostoli: Marco, che era un discepolo di Pietro e non aveva udito il Signore, racconta ciò che accadde all’inizio della vita pubblica del Maestro. Prima Gesù dalla Galilea si è recato al Giordano e si è unito a Giovanni, poi sospinto dallo Spirito lo ha lasciato ed è andato nel deserto, rimanendo al sud. Ora: “andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.
In Lui si è realizzata la piena rivelazione, l’automanifestazione di Dio che avrà il suo culmine alla fine della storia, ma che ora ha inizio, con la Sua presenza in mezzo a noi. Con il Suo avvento il Regno di Dio è giunto a noi. Per accoglierlo con fede occorre che ci convertiamo. Gesù inizia il tempo dell’annuncio, proprio ai confini tra il mondo ebraico e quello pagano, per proclamare l’universalità della salvezza.
La Galilea, nel nord dell’odierno israele, secondo i Giudei di allora, era un posto contaminato dal paganesimo. Fin dai suoi primi gesti pubblici emerge la volontà del Figlio di comunicare la Parola di Dio non solo ai pii Israeliti, ma a tutti. Questa parola è nuova per tutti, ancora oggi. Ma i suoi ascoltatori più attenti furono i lontani, che dimostrarono una maggiore disponibilità alla conversione, consapevoli del proprio status di peccatori.
In tutta la sua storia, e ancora oggi, il Popolo di Dio è stato tentato da un paradosso, ha cercato di costruire un legame tra fede, religione e pregiudizio, ha voluto interpretare la fede come orgoglio di appartenenza ad una cerchia di eletti, non come strumento di promozione umana ma di potere.
I Galilei sono un esempio per noi, perché sono aperti alle novità. E, come i primi quattro apostoli, consapevoli di dover cambiare. Ciò che fa il discepolo è la sequela, non l’apprendimento di una dottrina. Per questo l’essere discepolo è una condizione permanente. la missione è dilatazione di discepolato.
L’incontro col Figlio non è mai casuale, Lui continua a cercare discepoli come ha fatto con i primi quattro apostoli: “Venite dietro a me”.
Il Maestro non è un pescatore, non si intende di pesca al contrario dei suoi interlocutori, tuttavia parla loro come un pescatore: “Vi farò diventare pescatori di uomini”. Vuole parlare la nostra lingua, ragionare secondo le nostre categorie. Se vogliamo seguirlo ed imitarlo, dobbiamo diventare ambasciatori d’amore e di riconciliazione nel suo nome.
Oggi ci sentiamo tranquilli e siamo pacificamente consapevoli che il più, in fondo, sia già stato fatto. Ma in realtà, come nei primi secoli, ci sono popoli che non hanno mai sentito parlare del Vangelo e, anche tra i nostri giovani, larghi strati ne hanno ascoltato solo versioni distorte e fuorvianti.
Cosa possiamo e vogliamo fare? La comunicazione della fede e la missione ad gentes parte dalle nostre comunità parrocchiali, il luogo nel quale ci sono i “vicini” e i “lontani” e dove annunciare, testimoniare, irradiare la vita che ci fa felici, che ci salva. L’ambientazione è sempre quella, familiare e ordinaria: un incontro sulla riva di un lago.

Pierantonio e Davide Furfori

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