Domenica 28 gennaio, IV domenica del tempo ordinario (Dt 18,15-20; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28)
Siamo a Cafarnao, la città di Simone. È sabato. Gesù, come tutti gli ebrei osservanti, partecipa al culto nella sinagoga. Ogni maschio adulto, a turno, veniva chiamato a leggere la Torah. Chi voleva commentarla poteva farlo.
Marco però precisa che Lui insegnava. Le sue parole sono autorevoli. Diversamente dagli scribi, che si limitavano a spiegare la legge e a riportare la tradizione, lui dice qualcosa di più. Non ci viene detto cosa insegnava, ma ci viene mostrata la reazione degli astanti: tutti sono stupiti, e gli riconoscono una autorità che soppianta quella degli scribi, i teologi ufficiali, quelli che si ritenevano esperti di Dio.
Il Suo insegnamento mette in discussione le false sicurezze di una religione fondata sulla forza della paura, sul rispetto di antiche regole e sulla chiusura verso l’esterno. Lui insegna un nuovo modo di relazionarsi con Dio e con gli altri, fondato sull’amore e il servizio. Gesù per primo vive quello che insegna e non fonda le sue parole sulla paura, ma sull’amore e la fiducia nei discepoli.
È un maestro che libera, non sottomette, non obbliga nessuno, propone una strada e la percorre accanto a noi. E proprio sulla croce mostrerà la sua massima autorità, portando fino in fondo il suo insegnamento, con il dono totale di sé.
Ma interviene un indemoniato, che lo interrompe gridando: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”.
L’espressione “Che vuoi da noi?” è molto sgarbata: Giovanni ci racconta che anche Gesù la userà verso sua madre alle nozze di Cana. Serve per respingere un intervento inopportuno o per manifestare a qualcuno che non si vuole avere nessun rapporto con lui. Con l’arrivo del Figlio il potere del demonio sull’uomo è finito. Ecco perché Gesù è venuto a rovinarli. “Santo di Dio”: Santo significa messo da parte, riservato per Dio in vista di una missione.
“Taci! Esci da lui!”. Comanda autorevolmente di fare silenzio, anche sulla propria identità. Esercita un’autorità capace di vincere il male e la morte universali. Realizza la vittoria definitiva sul peccato e sulla morte che esso comporta e ci offre la possibilità di riscatto dalla tentazione. Le parole di Gesù e il miracolo provocano meraviglia.
Tutti si chiedono chi sia costui. La domanda ricorre fino all’ottavo capitolo quando Pietro confesserà: “Tu sei il Cristo”. Le persone che lo ascoltano e assistono alle sue azioni cominciano a capire che la verità non risiede nei castelli di belle parole propinate da scribi e farisei per giustificare i loro privilegi ed abusi.
La Parola stessa è il Cristo. Ed è vera, perché associata a autentiche opere di misericordia, che ne rendono credibile la consistenza. L’amore è il contrassegno della Parola, la concretizza e la rende attuale.
Pierantonio e Davide Furfori