La Grande Guerra narrata in forma di romanzo: Hemingway e Remarque
Ernest Hemingway (a sinistra) con l’uniforme dell’esercito degli Stati Uniti durante il suo servizio di autista di ambulanza a Milano nel 1918. A destra Erich Maria Remarque (ma il suo vero nome era Erich Paul Remark) venne ferito più volte durante la Prima Guerra Mondiale; pubblicò il romanzo nel 1927.
Ernest Hemingway (a sinistra) con l’uniforme dell’esercito degli Stati Uniti durante il suo servizio di autista di ambulanza a Milano nel 1918. A destra Erich Maria Remarque (ma il suo vero nome era Erich Paul Remark) venne ferito più volte durante la Prima Guerra Mondiale; pubblicò il romanzo nel 1927.

Memorie, diari, testimonianze, lettere ai familiari sono emozionanti narrazioni di guerra, ma usate dagli storici con cautela perché subiscono filtri di censura e di propaganda, le lettere dei soldati inoltre attenuano la gravità delle situazioni per non aumentare l’ansia dei familiari. Il romanzo realistico contemporaneo invece, inventando una storia organica e un sistema di personaggi, dice bene il rapporto diretto con le cose e i fatti. É così nei due romanzi più belli e di valore duraturo sulla Grande Guerra: Addio alle armi di Ernest Hemingway e Niente di nuovo sul fronte occidentale di Eric M. Remarque.
L’americano venne volontario sul fronte italiano e si guadagnò una medaglia d’argento. Il romanzo, edito nel 1929, ma in Italia diffuso solo nel 1948 perché vietato dalla censura fascista (lo fece circolare in segreto Fernanda Pivano), unisce guerra e una storia d’amore tra Frederic autista della Croce Rossa che salva molti feriti e l’infermiera Catherine. Gli eventi centrali riguardano la disfatta di Caporetto e sono una denuncia contro il militarismo: la guerra vista da vicino fa capire la realtà orrenda e logorante e rende insopportabile ogni retorica. Frederic, ricercato dalla polizia militare, ripara in Svizzera con Catherine, che partorisce un figlio morto e muore pure lei, e sopravvive in una disperata solitudine. I disastri della guerra persistono nei superstiti e ne aumentano il male e la violenza.
Remarque in Niente di nuovo sul fronte occidentale rende la crudele realtà della guerra e soprattutto il disinganno di una generazione di studenti tedeschi indottrinati di nazionalismo e militarismo. Il protagonista Paul Baumer va volontario in guerra coi suoi compagni di scuola: hanno 19 anni, pensano di vivere con onore e orgoglio una grande impresa per la patria. Arrivati al fronte, fanno presto a capire l’inutile strage, le bolle d’aria inculcate nella loro testa, non trovano risposte alla domanda del perché quella guerra fu scatenata, la prima di logoramento anche psicologico negli interminabili mesi dentro le trappole delle trincee, dove si moriva pure di tubercolosi e polmonite, tra topi e pidocchi. I compagni muoiono e nel rapporto del comando tedesco si registra che quel giorno fu calmo e silenzioso lungo tutto il fronte! Del romanzo, letto nell’adolescenza, mi rimane viva l’immagine di Baumer che porta a spalle il compagno Kat ferito e quando arriva alla postazione medica si accorge che era morto.
Diventa difficile e forse impossibile ritrovare un genuino gusto di vivere per il reduce dal turbine delle guerre: molti non ne hanno più parlato, altri, come Primo Levi, dopo averne scritto, alla fine non hanno elaborato il trauma. Remarque nell’intreccio del suo romanzo è riuscito a dire gli effetti psicologici, la distruzione dei sogni, il buio che ogni guerra provoca. Per questo i nuovi guerrafondai nazisti bruciarono il suo romanzo.

(m.l.s.)