“Respingete la cultura mafiosa e difendete la libertà di parlare”

Il giornalista Paolo Borrometi agli studenti del Classico di Aulla

mafieTutti conoscono la bellezza di Scicli, il paese dove è girata la serie televisiva “Il commissario Montalbano”, ma pochi sanno che quel comune è stato commissariato per mafia dopo l’inchiesta di un giovane giornalista di 34 anni che ora vive sotto scorta dei carabinieri perché obbiettivo di pesanti aggressioni e minacce della criminalità organizzata. Paolo Borrometi, collaboratore del Giornale di Sicilia e dell’agenzia giornalistica AGI, nel 2014 venne aggredito e pestato da incappucciati che gli procurarono una grave menomazione alla mobilità della spalla, poi gli incendiarono anche la porta di casa.
Il Liceo Classico “Leopardi” di Aulla e il Comitato genitori del Liceo “da Vinci” di Villafranca hanno fatto incontrare il giornalista con studenti e genitori perché, come ha ricordato la responsabile della Fondazione Caponnetto Milene Mucci, l’impegno della scuola è fondamentale nel promuovere la cultura della legalità.
Se qualcuno crede ancora che il fenomeno mafia riguardi solo la Sicilia, è stato smentito da Borrometi che ha ricordato come anche in Lunigiana ci siano diversi immobili sequestrati alla criminalità, ci sia stato il grosso sequestro di droga a Pallerone e come in Piazza della Signoria, a Firenze, sia sotto sequestro un grande attico, a due passi dall’Accademia dei Georgofili, dove in un attentato mafioso morirono cinque persone, tra le quali la piccola Caterina, di appena cinquanta giorni di vita.
“In Toscana la mafia è presente, è la mafia degli affari, dei colletti bianchi – ha detto Borrometi – e dobbiamo fare i conti con questa realtà, avere il coraggio di guardarla in faccia, per essere cittadini e non sudditi”. Non è mancata una critica ai colleghi giornalisti, che hanno poca voglia di indagare i fatti e sono lo specchio di una società disattenta.
“Quando mi aggredirono, pur di non riconoscere la mafia come mandante, si cercò di isolarmi spiegando l’agguato con questioni sentimentali, dicendo che mi ero inventato l’aggressione, poi che avevo tentato di sedurre la moglie di un boss: potevo smettere di indagare – ha raccontato ai ragazzi il giornalista – perché la mafia, prima di ucciderti, tenta di isolarti e io non sono un eroe, ho avuto paura, ma sono anche convinto che la cosa più bella sia non cedere alla paura. I veri eroi li vedete nel fondo della sala, sono le forze dell’ordine e quando vi fermano per controlli, non vedeteli come rompiscatole”.
La realtà delle infiltrazioni mafiose è complessa: i prodotti ortofrutticoli che arrivano nei nostri mercati a caro prezzo spesso sono frutto di una spartizione di interessi tra la criminalità locale per la raccolta e il confezionamento, mentre i Casalesi gestiscono il trasporto.
Non possiamo ignorare il fatto che i mafiosi possono affascinare ragazzi e adulti: film e sceneggiati sono seguitissimi, il figlio del boss Salvo Riina, che ha sciolto nell’acido un bimbo di 10 anni, viene invitato alla trasmissione “Porta a Porta” a parlare del padre.
La mafia ci riguarda tutti e altrettanto pericolosi sono l’atteggiamento mafioso, il bullismo, la voglia di imporre il proprio pensiero. “Ragazzi – ha concluso il giovane giornalista – respingete la cultura mafiosa e le scelte di vita che restringono la libertà più bella, quella di parlare. Andate controcorrente e vi potrete guardare allo specchio con la coscienza pulita, innamoratevi del fresco profumo della denuncia”. Le numerose domande, mai banali, fatte di ragazzi dimostrano la loro preparazione e l’interesse per una riflessione civile che troppo spesso manca a noi adulti.

(R. Boggi)