La bocciatura dell’ Italicum apre alla possibilità di elezioni a breve termine

Una sollecitazione all’esercizio del potere legislativo

Camera dei Deputati
L’aula della Camera dei Deputati riunita in seduta

Quanti mesi di discussione (probabilmente sterile, viste le prime battute) su una fantomatica legge elettorale può permettersi un Paese sull’orlo di una procedura di infrazione da parte dell’Europa? Gli eventi di queste ultime settimane lasciano due alternative: andare al voto al più presto poiché la stessa Consulta ha dichiarato ciò che resta dell’Italicum renziano “suscettibile di immediata applicazione”; aprire un dibattito in Parlamento la cui durata è tutta da determinarsi, così come impossibili da prevedere paiono oggi gli esiti. Si aprono comunque scenari incerti.

 

Le correzioni della Consulta

La Consulta, dopo una camera di consiglio più lunga delle attese, ha detto incostituzionale il ballottaggio fra i due partiti maggiori usciti dal voto, che l’Italicum aveva immaginato come modo per ottenere la governabilità. Se nessuna forza politica raggiungerà, nel voto per Montecitorio, il 40% dei voti, la ripartizione dei seggi sarà su base proporzionale, con il solo sbarramento iniziale del 3% dei suffragi, al di sotto del quale non si otterranno seggi. Inoltre, mentre è rimasta la possibilità per i partiti di nominare capilista non soggetti a voto di preferenza nei 100 collegi d’Italia, è stata cassata la possibilità che uno di questi possa scegliersi – se eletto in più collegi (può concorrere in 10) – quello in cui essere eletto, così da designare il proprio successore. In questo caso sarà invece il sorteggio a definire l’elezione.

Votare subito potrebbe avviare una fase di difficile governabilità, se non di ingovernabilità. Che, con il quadro politico attuale, ci possa essere una lista che arrivi al fatidico 40%, conquistando la maggioranza dei deputati, è improbabile: quasi tutti i sondaggisti concordano sul fatto che la distribuzione dei seggi a Montecitorio avverrà con metodo strettamente proporzionale.
Sarebbe il “requiem” per la preminenza della governabilità, cui si è sacrificata la rappresentatività delle idee, sostituita da accozzaglie di interessi che spesso abbiamo visto dissolversi già il giorno successivo alla chiusura delle urne. Poi, la diversa legge per l’elezione del resuscitato Senato potrebbe contribuire a rendere più complicata la definizione di una maggioranza omogenea nei due rami del Parlamento, chiamati entrambi con pari dignità ad esprimere la fiducia ad un qualsiasi governo.
Sarebbe allora più sensato affidare a questo Parlamento l’onere di approvare una nuova legge elettorale che consenta agli italiani di andare alle urne con, se non la certezza, almeno la possibilità di dare da subito una maggioranza in grado di gestire lo Stato?
Con quanto realismo è ipotizzabile una soluzione del genere? Basta ascoltare i massimi rappresentanti delle forze presenti in Parlamento (cui si aggiungono molti altri, con diversa dissonanza…) per rendersi conto di quale opera ciclopica sia, nell’immediata vigilia di uno scontro aspro, l’approvazione di una legge elettorale che garantisca ad ogni forza politica qualche speranza di vittoria.
Vittoria intesa non come conquista di una maggioranza omogenea, ma come accaparramento di posizioni di potere, determinanti (e quindi remunerative…) per la costituzione di governi che, nati da mediazioni non scevre da ricatti, non avranno vita facile.
Per di più, un processo legislativo di questo genere necessita di tempi lunghi, che da una parte soddisfaranno le attese dei parlamentari che anelano alla “pensione”, ma dall’altra trasformeranno i prossimi mesi in una campagna elettorale continua, nella quale il debito pubblico, gli immigrati, la ricostruzione delle aree duramente colpite dagli eventi di questi ultimi tempi assumeranno il ruolo di comparse in una trama altrimenti ordita.
Così siamo ancora una volta di fronte ad una pesante sconfitta della democrazia, con una legge fondamentale per la partecipazione dei cittadini frutto non del lavoro dell’organo costituzionale deputato alla formazione ed approvazione delle leggi, ma effetto di un’azione di supplenza da parte della Magistratura, cui la Costituzione affida non il potere legislativo, ma quello giudiziario.
“Libertà è partecipazione”, cantava Giorgio Gaber. Gli italiani hanno recentemente ricordato ai politici che le grandi scelte non si fanno a colpi di maggioranza, con voti di fiducia o deliberazioni nel chiuso di una sala di giunta. Il bene comune lo si difende e propugna con dibattiti franchi che mirano a costruire consenso, non a dividere per meglio comandare. Ma tutto questo, ahimè, negli ultimi anni ha assunto sempre più il sapore dell’utopia.