Sembrava cosa fatta. Beppe Grillo aveva deciso che, in Europa, era ora di darsi un’immagine diversa. L’alleanza con l’Ukip di Nigel Farage, radicalizzata sulla destra, era troppo ingombrante. Meglio cercare di trovare spazio in una componente centrista come l’Alde (Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa) guidata dal belga Guy Verhofstadt. Anche a questi conveniva, visto che l’Alde sarebbe diventata la terza forza nel Parlamento europeo e che l’uomo aveva intenzione di candidarsi alla presidenza.
Se Farage è antieuropeista, l’Alde è una formazione che si propone di rafforzare le istituzioni politiche e monetarie dell’Ue, puntando sulla governance economica dell’Unione in modo da rendere più forte e competitivo l’euro.
Grillo si sarebbe imparentato con i grandi della finanza da sempre osteggiati a parole. Alle votazioni online su questa proposta “hanno partecipato – si legge sul post del Movimento – 40.654 iscritti certificati. Ha votato per il passaggio all’Alde il 78,5% dei votanti pari a 31.914 iscritti, 6.444 hanno votato per la permanenza nell’Efdd e 2.296 per confluire nei non iscritti”.
Si dà enfasi all’alta percentuale di ‘sì’, lasciando in secondo piano la bassa affluenza al voto (circa il 30% degli aventi diritto), segno di una certa disaffezione nei confronti dell’argomento e forse anche di insofferenza, anche da parte di parlamentari, riguardo a decisioni prese senza alcuna discussione interna.
Andare con l’odiato, fino al giorno precedente, gruppo di Guy Verhostadt – accusato di essere iper-europeista, amico delle banche e di Monti ed espressione dell’establishment – non entusiasmava.
Quando tutto sembra, comunque, deciso: il colpo di scena. Il leader dell’Alde dichiara che “non ci sono sufficienti garanzie di portare avanti un’agenda comune per riformare l’Europa… Rimangono differenze fondamentali sulle questioni europee chiave”. È un rifiuto che brucia sul piano politico, ma ci sono anche altre questioni in ballo: i grillini si sarebbero, infatti, trovati senza un gruppo e quindi senza i contributi (si parla di 700.000 euro); avrebbero perso una ventina di funzionari e la possibilità di accedere alle cariche nelle Commissioni parlamentari.
Con la loro giravolta si sono ritrovati in mezzo al guado e da soli. A questo punto il colpo di genio. Se è fallita la prima opzione, si scala sulla seconda (votata, però, soltanto da 6.444 iscritti): la continuità dell’alleanza con Farage. La fortuna di Grillo è che quest’ultimo, da solo, ha un numero risicato di parlamentari e quindi “deve” accettare.
Tutto lascia pensare che il ritorno non sarà indolore perché il leader dell’Ukip dopo l’annuncio del suo incontro con Grillo, avrebbe sottolineato che i “matrimoni finiscono” ma che “si possono anche ristabilire”, sempre “se chi ha tradito paga”.
Giovanni Barbieri