Festa dei Lavoratori: Primo Maggio sempre più a rischio di retorica

Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte! Così, mentre la botola della forca si apriva sotto i suoi piedi, l’operaio anarchico August Spies, gridò al mondo, a Chicago, l’aspirazione dei lavoratori di ottenere condizioni di vita migliori. Spies fu giustiziato perché l’anno prima, nel 1886, assieme ad altri, aveva organizzato la manifestazione di protesta dopo i fatti del maggio, quando la polizia sparò sugli scioperanti. Simili vicende sembrano lontane anni luce. Così il 1° maggio 1947, quando la banda di Salvatore Giuliano sparò sui lavoratori riuniti per la loro festa a Portella della Ginestra, luogo simbolo della lotta socialista condotta contro il sistema che opprime i più deboli dal medico Nicola Barbato, fondatore dei Fasci Siciliani. E di 1° maggio non si parlava nel ventennio fascista, quando la festa dei lavoratori c’era, ma il 21 aprile, assieme al natale di Roma, per toglierle l’alone di internazionalità che mal s’addiceva ad un’ideologia che faceva dell’autarchia un mito su cui costruire i successi dell’impero. Storia d’altri tempi, come il discorso di papa Pio XII del 1° maggio 1955, quando egli, nella festa di San Giuseppe lavoratore, spronava gli aclisti a “una formazione metodica, attraente e sempre adattata alle circostanze locali” perché “da lungo tempo pur troppo il nemico di Cristo semina zizzania nel popolo italiano, senza incontrare sempre e dappertutto una sufficiente resistenza da parte dei cattolici. Specialmente nel ceto dei lavoratori esso ha fatto e fa di tutto per diffondere false idee sull’uomo e il mondo, sulla storia, sulla struttura della società e della economia. Non è raro il caso – diceva il Pontefice – in cui l’operaio cattolico, per mancanza di una solida formazione religiosa, si trova disarmato, quando gli si propongono simili teorie; non è capace di rispondere, e talvolta persino si lascia contaminare dal veleno dell’errore “. Anni di contrapposizione politica aspra per due antitetiche concezioni della vita, dell’economia e della società, col pianeta spartito fra URSS ed USA, non solo potenze militari egemoni, quanto piuttosto interpreti di due concezioni dell’uomo, entrambe lontane dal personalismo cristiano. In quegli anni, soffusi dalla speranza per un mondo migliore, antitetico ai drammi delle guerre e delle dittature della prima metà del “secolo breve” (così Eric Hobsbawm definì il tempo fra il primo conflitto mondiale e il crollo dell’URSS), era forte il bisogno di regole nuove: i lavoratori organizzati chiedevano un ulteriore passo verso Stati che tutelassero le classi più deboli (per l’Italia repubblicana lo voleva la Carta Costituzionale), dando vita a norme per annullare, o quanto meno mitigare, le diseguaglianze. Sono gli anni di un forte movimento sindacale, che s’impegna nelle grandi battaglie dei lavoratori. CGIL, CISL ed UIL sfumano le differenze culturali per unire il loro impegno nella Triplice e farsi volano per nuove, ineludibili regole economiche e sociali, tali da orientare positivamente le spinte che venivano dal Sessantotto e che, non solo in Italia, sfociavano anche nel terrorismo. Formazioni extraparlamentari di destra e sinistra, pezzi di Stato deviati, trame internazionali tuttora di difficile lettura rischiarono, con la “strategia della tensione” di annullare un processo che, nel 1970, aveva portato allo Statuto dei Lavoratori promosso dalla Commissione coordinata da Gino Giugni, egli stesso, poi, bersaglio delle Brigate Rosse. Il crollo dell’URSS e il predominio della visione capitalistica della società ha contribuito a tacitare questo impegno (lo stesso che aveva portato Guido Rossa a denunciare il nucleo BR di Genova-Conegliano). Al bisogno di regole si è sostituita la deregulation, alla politica attiva il riflusso nel privato, ai contratti collettivi gli interessi spiccioli di gruppi. In questo clima che vede il sindacato in angolo (anche per sue responsabilità!) il 1° maggio rischia di essere retorico: non bastano un comizio o il concertone di Piazza S. Giovanni a Roma per entusiasmarci.
Giulio Armanini