Salari bassi e rischi alti: per decenni è stata la regola con la quale si è governato il lavoro. Il nostro territorio non ha fatto eccezione; anzi: come tutte le aree povere e depresse, ha visto un’applicazione ferrea di questo principio. Tanta disponibilità di braccia, poca offerta di impiego: una miscela che non ha prodotto sviluppo, ma soprattutto dolore. Nel 1890 le paghe nei cantieri per la costruzione della ferrovia La Spezia – Parma erano appena sufficienti per sopravvivere e fortemente discriminatorie; i muratori ricevevano 3,50 lire al giorno (più o meno i 10 euro di oggi), i manovali 2,50; chi lavorava in galleria prendeva il 20% in più. Tante le donne, anche perché conveniva visto che erano pagate di meno: la loro entrata giornaliera varia da 1,20 a 1,75 lire. Spesso poi il datore di lavoro tratteneva dalla paga 25 centesimi al giorno a chi lavorava in galleria per dell’olio per l’illuminazione; inoltre c’era una trattenuta del 2% per la “cassa soccorso” e non di rado le paghe venivano date con un mese o più di ritardo. Viste le condizioni di sicurezza particolarmente scadenti gli incidenti mortali erano all’ordine del giorno; numerosi i casi di operai che ingerirono per errore acidi dimenticati in luoghi non troppo lontani dai contenitori di acqua potabile; si moriva per le esplosioni delle mine, a volte così potenti da scagliare i detriti ben più lontano di quanto doveva; non mancavano i morti per le frane provocate dai torrenti in piena. Ma le morti più numerose erano quelle in galleria, soprattutto per la caduta della volta appena scavata: centinaia le vittime, decine i casi mortali; l’incidente più grave fu quello del 7 aprile 1893 quanDo nella galleria del Borgallo, a 4 chilometri all’interno della montagna, un’esplosione di gas uccise 13 operai. L’evento luttuoso suscitò vasta eco e clamore: ci fu anche un’inchiesta che tuttavia non produsse quasi nessun risultato se non un inadeguato risarcimento alle famiglie delle vittime. In realtà esistevano norme di sicurezza fissate dalla Direzione Governativa che dovevano essere applicate dalle Imprese, ma questo doveva avvenire a loro spese e spesso la volontà di risparmiare aumentando il profitto portava a trascurare il resto. Verrebbe la tentazione di dire: allora come oggi! Ad oltre un secolo di distanza sembrano davvero tante le similitudini con quanto accade con frequenza oggi, in anni nei quali ancora una volta l’offerta di lavoro è tornata ad essere troppo scarsa di fronte ad una domanda crescente. E cresce anche la preoccupazione che le conquiste e i progressi diventino merce di scambio con la tentazione di sacrificare qualche diritto pur di trovare una soluzione: anche questa è storia, almeno degli ultimi decenni. Solo per rimanere in tema di ferrovia come non ricordare due incidenti sul lavoro tra i più luttuosi della nostra storia recente? Il primo è quello del 4 ottobre 1953 quando due treni merci si scontrarono proprio nella stazione di Filattiera: 7 i ferrovieri morti; il secondo risale a pochi anni fa, il 4 giugno 2000: nella tremenda collisione fra due treni merci non lontano dalla stazione di Solignano morirono 5 ferrovieri. Nella ricorrenza di questo Primo Maggio 2016 è ancora forte l’emozione per le due morti nelle cave di Carrara del 14 aprile: un ambiente ad alto rischio dove pure per alcuni anni si era registrata un’importante inversione di tendenza con una drastica diminuzione degli incidenti. Da qualche tempo, invece, sembra si sia tornati indietro. E se le cave restano il luogo del lavoro più pericoloso lo stillicidio delle morti continua anche altrove: sembra proprio che tra i poco meno 80.000 occupati nella provincia apuana non si riesca ad estirpare quella che non possiamo accettare diventi una triste consuetudine.
Paolo Bissoli