Loda il Signore, Gerusalemme

Domenica 18 giugno, Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
(Dt 8,2-3.14-16;   1Cor 10,16-17;   Gv 6,51-58)

corpus dominiGesù ha moltiplicato i pani e i pesci per la moltitudine radunata e ha annunciato che, come Dio ha fatto scendere pane dal cielo ai tempi di Mosè, così ora ha mandato lui, come “pane vivo” per saziare in eterno l’umanità.
La moltitudine riunita resta interdetta, confusa: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” Interpretano Gesù alla lettera, convinti che stia parlando di cannibalismo.
Non sono i soli, e non saranno gli ultimi. L’idea che i Cristiani “mangiassero” il loro stesso Dio era diffusa nell’antica Roma, al punto da essere parodiata nella nota opera “Satyricon” di Petronio. La stessa idea è stata riproposta a intervalli nel corso dei secoli, sempre in maniera interessata, per “dimostrare” che Gesù fosse pazzo e che più pazzi ancora fossero i suoi discepoli.
Ma nell’ultima cena, Gesù chiarirà ai discepoli che il suo corpo e il suo sangue sono il pane e il vino da lui benedetti, e non solo. La sazietà di cui lui parla non è la liberazione dalla fame fisica (per quanto ne sappia l’autore, i Cristiani mangiano come tutti gli altri esseri umani), ma la soddisfazione di un bisogno più profondo, la sete di infinito. Sin dai tempi più remoti, l’uomo ha desiderato l’assoluto e l’eternità, esorcizzando la relativa pochezza del mondo materiale e della propria vita terrena con rituali che la arricchissero di significato e che ponessero tutto in un contesto più grande.
Ed oggi, non illudiamoci, siamo cambiati ben poco. Per quanto in passato questi rituali assumessero la forma di celebrazioni religiose rivolte a dèi, spiriti e idoli vari, essi oggi non sono scomparsi, hanno solo cambiato forma, “laicizzandosi” nel nostro consumismo sfrenato, la convinzione, invero religiosa, che la felicità e il senso della vita siano solo a un acquisto di distanza, o nel prossimo episodio della nostra serie tv preferita. In una cosa sola sono cambiati: togliendo l’infinito dall’equazione, lo scopo dei moderni rituali non è più inquadrare il mondo e la vita in qualcosa di più grande, ma dimenticare, anestetizzarsi, sommergersi di sensazioni piacevoli in modo da non dover riflettere di nuovo, come facevano gli antichi, su quanto misero sia un mondo senza Dio, e disperare.
Gesù è l’antidoto a questa disperazione, una cura vera, che non la maschera, ma la sconfigge, che ci restituisce la speranza. Oggi tendiamo ad ignorare deliberatamente che, per quanto possiamo tenere ben nutrito il corpo, se lasciamo affamata l’anima, siamo comunque come morti. Il Figlio è il pane dell’anima, nutrendoci di lui, del suo corpo, del suo sangue, delle sue parole, la nostra anima vive, e vivrà in eterno, anche dopo che il corpo sarà morto.

Pierantonio e Davide Furfori