La seconda assemblea sinodale della Chiesa italiana si è chiusa a Roma con un rinvio della votazione finale a ottobre e dell’assemblea generale dei vescovi a novembre. Un esito senza precedenti frutto di una dialettica propria della comunità ecclesiale che il percorso sinodale ha fatto emergere
Foto Siciliani-Gennari/SIR
“Il messaggio dato dall’Assemblea è che la Chiesa prende sul serio il Cammino sinodale»: tra le tante parole spese, molte fuori luogo, sugli esiti della Seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, quelle espresse in conferenza stampa da Pierpaolo Triani, membro della Presidenza dell’assise, appaiono le più idonee a descrivere la situazione che si è creata, con il rinvio ad ottobre delle votazioni del documento finale e il posticipo dell’Assemblea dei Vescovi che dovrà adottarle.
I giornali laici, anche questa volta interessati solo ai temi della morale sessuale, hanno parlato di “sfida ai vescovi”; la rumorosa e ben organizzata – ma a tutti gli effetti minoritaria – galassia dei gruppi cattolici ultraconservatori ha brindato al «fallimento» di una novità mai accettata.
Il card. Matteo Zuppi alla conferenza stampa conclusiva della Seconda Assemblea Sinodale della Chiesa Italiana (Foto Siciliani-Gennari/SIR)
Ma dai racconti di chi c’era, dalle interviste, dalle dichiarazioni non di facciata del Vescovo Erio Castellucci, Presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale e del Cardinale Zuppi, presidente della CEI, emerge l’immagine di un Popolo di Dio che crede nella sinoidalità.
Un risultato sorprendente se si pensa che Papa Francesco invitò la Chiesa italiana ad avviare un percorso sinodale nel convegno ecclesiale del 2015, ma che il percorso è partito solo nel 2021, in parallelo all’indizione del Sinodo universale, tra il palese scetticismo di molti vescovi.
A determinare quella che monsignor Castellucci ha definito “crisi” i tempi stretti: sia quelli tra la redazione delle sintesi diocesane e l’assemblea romana, sia quelli dell’assise, in cui i momenti assembleari sono stati ristretti per fare spazio a momenti celebrativi diversi. In sintesi: il tempo per spiegato il Vescovo di Modena, non c’era.
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In più, Castellucci ha ammesso – caricandosi di un pezzo di responsabilità – un secondo problema: la carenza di comunicazione: il testo proposto in assemblea non era la raccolta di tutto quanto è stato detto prima, ma «una sorta di indice ragionato di scelte che indicano le priorità e le decisioni su cui verterà il testo definitivo».
Ai delegati (metà laici, metà vescovi, preti e religiosi) la stringatezza delle Proposizioni è apparsa «troppo discontinua rispetto ai documenti precedenti».
Se da un lato si potrebbe pensare, anche senza essere tacciati di “complottismo ecclesiale” che tutto ciò sia stato in parte voluto per anestetizzare le conclusioni – qualcuno ha parlato di “documento precotto e privo di incisività” – dall’altro i Vescovi, dopo un lunghissimo confronto a porte chiuse del Consiglio permanente della CEI, non hanno rifiutato la richiesta di tempi più lunghi per non disperdere la ricchezza del lavoro e dello spirito che lo ha contraddistinto, quello di un ascolto che ha coinvolto 50 mila gruppi in tutta Italia, un’operazione così ampia e capillare che nessun’altra organizzazione di massa ha mai svolto nei decenni recenti nel Paese.
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L’esito dei lavori romani ha restituito la lezione – le parole sono ancora del vescovo Castellucci – che «La comunione nella Chiesa non è uniformità, ma diversità arricchente; lo Spirito Santo evita la massificazione e opera creativamente attraverso doni differenti: il confronto, il dibattito, il dissenso, fanno parte della dialettica ecclesiale, purché siano mossi dal desiderio di una sintesi superiore».
È a questa sintesi, non scontata, che ha mirato un’assemblea che ha trovato il coraggio di cambiare i percorsi programmati per imprimere il maggior sforzo profetico per affrontare le priorità emerse in questi anni: la responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne, l’obbligatorietà dei consigli pastorali, la riconfigurazione territoriale per una pastorale condivisa, con la possibilità di una “guida sinodale” delle comunità, l’accompagnamento delle persone omosessuali, un percorso nazionale rinnovato dell’iniziazione cristiana.
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Sono temi di cui da anni nelle comunità ecclesiali si discute, da quelle spesso svuotate dei centri urbani a quelle spopolate delle aree rurali, di fronte ad un cambiamento d’epoca che richiede scelte coraggiose, talvolta divisive.
Dunque parlare di ribellione non ha molto senso, se non riferendosi a chi potrebbe aver avuto la tentazione di ingabbiare il Sinodo in un adempimento burocratico e svuotato di contenuti. Più appropriato è affermare che tra i sinodali è maturato un dissenso costruttivo, fondato sulla comunione, per il bene della comunità ecclesiale.
Don Iandolo: “si è innescato un processo positivo”
Le dichiarazioni dei delegati della Diocesi
Il Vescovo Mario, al centro, con Cristina Galligani e don Maurizio Iandolo a Roma, delegati all’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia
Anche il Vescovo e i due delegati della Diocesi di Massa Carrara – Pontremoli hanno confermato le ragioni del rinvio del deciso dal Comitato nazionale. “È stato un prendere atto con onestà – ha detto il vescovo Fra’ Mario – che il documento preparato e messo a disposizione non era completo, non tenendo conto del lavoro svolto dalle diocesi, tanto che ne sono emersi numerosi emendamenti.
Il testo delle Proposizioni adesso verrà ripreso dal Comitato nazionale e avremo una nuova convocazione il 25 ottobre per poi procedere con la votazione nell’Assemblea dei vescovi in programma a novembre”.
“Per motivi legati ad una scelta di sintesi ‘estrema’ delle Proposizioni – ha sottolineato don Maurizio Iandolo, vicario per la pastorale – si rischiava di perdere la ricchezza e la diversità di tanti interventi. Ma adesso non c’è pessimismo, ma impegno perché la Chiesa mantenga questo stile di sinodalità e di ascolto, adesso che si è innescato un processo positivo”.
Cristina Galligani, ha invece evidenziato la dimensione del lavoro nei gruppi. “Ammettere l’errore di valutazione per aver presentato un testo diverso dalle premesse emerse dal percorso degli ultimi 4 anni, è stato un bel messaggio di onestà e rispetto da parte del Comitato nazionale. D’altra parte il lavoro nei gruppi e sottogruppi che hanno esaminato le 50 Proposizioni è stato molto serrato nei tempi, che non ha permesso di comprendere in pieno la ricchezza e la diversità dei contenuti”.