
Otto Marzo. A Pontremoli un pomeriggio dedicato alle donne spiate e perseguitate dalla rete di controllo fascista fra il 1922 e il 1943: storie vere di straordinaria quotidianità

Un capitolo di storia ancora poco conosciuto: è quello che vede protagoniste le donne spiate perché accusate di agire contro il fascismo, che hanno pagato un prezzo molto alto, protagoniste di vicende che emergono, anche ad un secolo di distanza, dai fascicoli del Casellario Politico conservati all’Archivio di Stato di Massa.
Alcuni profili di queste sono stati presentati nel pomeriggio di sabato 8 marzo a Pontremoli, nella sede dello SPI CGIL grazie all’iniziativa promossa, oltre che dallo stesso sindacato pensionati, dalla locale sezione ANPI e dell’Auser Pontremoli con la biblioteca di Liberetà organizzata nei locali di via Cavour.
In una sala gremita come raramente accaduto, sono state le professoresse Brunella Manotti (ANPI Parma) e Caterina Rapetti (ANPI Pontremoli) ad illustrare vicende di straordinaria quotidianità, che possono sembrare lontane nel tempo ma che, al contrario, evidenziano caratteristiche di grande attualità. “Sovversive. Donne lunigianesi nella rete del regime 1922-1943” era il tema dell’incontro: ma davvero furono pericolose sovversive?
Come ha sottolineato Brunella Manotti, per essere considerate tali “era sufficiente compiere piccoli gesti di protesta” come raccontare una barzelletta antiregime, canticchiare inni socialisti, coltivare la memoria dei martiri del primo antifascismo come Matteotti, portare un garofano rosso sulle loro tombe.
Alla metà degli anni Venti la rete delle spie pronte a riferire alla polizia fascista era fitta e i controlli asfissianti, entrano nelle case, frugano nel privato. Per ogni segnalazione un rapporto, un telegramma, richieste di controlli e perquisizioni.
Molti di questi materiali si sono conservati e da qualche anno possono essere consultati. Come ha sottolineato la prof.ssa Manotti, ne esce una storia complessa, di quell’universo femminile che rappresentava una vasta area di dissenso, anche se spontaneo e non organizzato.
E, visto che si trattava di donne, non poteva mancare il giudizio morale, quello utile a screditarle perché non si adattavano ad interpretare il modello di “obbediente angelo del focolare” che il fascismo voleva imporre.
Tutto questo avveniva anche in Lunigiana, ed è stata la prof.ssa Rapetti a portare all’attenzione dei tanti presenti le storie di alcune di queste donne finite, loro malgrato, nella “rete del regime”.

Carmela Rosi, ad esempio, era nata nel 1902 a Torrano: nel paese sulle colline pontremolesi quattro giovani fascisti in una notte dell’agosto 1922 uccidono il suo fidanzato, Felice Alfonso Verri. La donna chiede invano giustizia, ma al termine del processo gli imputati sono assolti; Carmela sceglie di andarsene, da sola. Nel 1926 arriva a New York, poi si trasferisce in Cile dove milita nelle associazioni antifasciste. Le spie del regime la raggiungono anche qui: nel suo fascicolo infatti si trovano rapporti che nel 1938 certificano il suo ruolo di vice tesoriera del “Comitato per l’aiuto della Spagna Rossa” che raccoglie fondi per le Brigate Internazionali che combattono nella Guerra Civile Spagnola.
Tra le “sovversive” non poteva mancare Ernesta Cassola, moglie di quel Luigi Campolonghi che fu tra le persone più controllate dalla polizia, prima quella dell’Italia di fine Ottocento, poi quella del ventennio. Nata a Volterra nel 1869, viene inserita nell’elenco dei sovversivi nel 1936: è una donna matura, ma ritenuta pericolosa perché a Parigi partecipa alle attività della Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo fondata, tra gli altri, dal marito. Ma Ernesta era nota per essere donna socialista e femminista militante con una passione politica nata ben prima dell’incontro con Campolonghi.
A Corvarola di Bagnone, nel 1898, era nata Gemma Ravera: prima il matrimonio con Leone Borrini di Merizzo, poi nel 1926 l’emigrazione a Rumelingen, comune minerario del Lussemburgo. Viene schedata a partire dal gennaio 1937, poche settimane prima della morte del marito sul fronte della Guerra Civile Spagnola. Rimasta vedova, con due figlie adolescenti, Gemma non si arrende: resta in Lussemburgo e gestisce un magazzino di generi alimentari dove, secondo le informazioni raccolte dalle spie del consolato italiano, si riunirebbero sovversivi provenienti anche dalla vicina Lorena.
Pontremolese della SS. Annunziata, dove nasce nel 1865, è Ermenegilda Ferrari, moglie di un noto militante comunista, Giovanni Corsi, fornaio, e madre di Antonio e Armano, attivisti emigrati in Francia. Ed è proprio in occasione della richiesta di passaporto per poter raggiungere i figli all’estero che la donna, nel 1933, viene schedata e vigilata. Anche il nome della figlia Erminia finisce nel fascicolo di polizia.
Ancora della SS. Annunziata è Rosa Angella, emigrata in Francia all’inizio del ventennio con il marito Lazzaro Moscatelli. Famiglia sotto controllo quella degli Angella: non solo Rosa, ma anche il fratello Giovanni, tutti affiliati all’Associazione Lunigiana di Mandelieu, giudicata di carattere sovversivo e antifascista.
Di Mulazzo è Adele Federici, nata a Canossa nel 1888 andata sposa a Filetto con un Gavarini. Il suo carteggio è emblematico per il giudizio morale con il quale spesso venivano bollate le donne: “buona condotta politica – si legge in un rapporto su Adele – ma moralmente ritenuta leggera e amante della bella vita”!
Anche Marianna Fogola è di Mulazzo, nata alla Crocetta nel 1891: emigrata in Francia nel 1922, con il marito vive a Grenoble ed è schedata quale “merciaia ambulante sovversiva” perché “sospetta socialista”.
Fra le altre donne, l’ultima citata nella conferenza è un’altra figura di spicco: si tratta di Zelmira Peroni, di Caprigliola, moglie di Pasquale Binazzi con il quale condivide gli ideali anarchici e antifascisti. E con lui condivide anche l’arresto e il confino alle Tremiti e a Lipari, pena alla quale il regime condanna la coppia. Come si vede dagli esempi, la rete del regime era davvero molto vasta e sono numerose le donne vittime di controlli della rete di spie organizzata dal regime. Come ha concluso nella sua relazione Caterina Rapetti, “sfogliando il casellario ci troviamo di fronte a storie di vita diverse e modi diversi di esprimere quel filo rosso dell’antifascismo che era presente nel nostro paese, un filo sotterraneo, nascosto ma presente e che coinvolgeva uomini e anche donne”.
Paolo Bissoli