In “missione”  da Gordon Lett

A fine febbraio del 1945 il Vescovo era salito a Rossano per chiedere la fine dei bombardamenti

Pontremoli, 1 marzo 1947. Il magg. Gordon Lett (primo a sinistra) con la moglie Sheila, il ten. col. inglese de Burgh, il vescovo Giovanni Sismondo e il sindaco di Pontremoli, Laba. La foto è tratta dal libro “Gordon Lett. Amico dell’Italia”

“Caspita, è il Vescovo di Pontremoli in persona”: così uno dei militari del Battaglione Internazionale annunciava al magg. Gordon Lett l’arrivo di mons. Sismondo a Rossano negli ultimi giorni di febbraio del 1945. Una visita a sorpresa e inaspettata, un lungo viaggio a piedi che mons. Sismondo compì per una richiesta quanto mai pressante: far cessare i bombardamenti alleati.
“Aulla e Villafranca sono state rase al suolo – disse il Vescovo secondo quanto raccontato dal maggiore inglese – e io la prego, maggiore, di intercedere presso gli Alleati affinché non vogliano trattare Pontremoli come hanno trattato le altre città”. Il militare inglese fuggito dai campi di prigionia nazifascisti e che a Rossano dall’autunno 1943 aveva organizzato una formazione di “ribelli”, avrebbe voluto negare subito ogni possibilità in tal senso. Tuttavia la richiesta proveniva niente meno che da un Vescovo e lui, pur protestante, non poteva non valutare la cosa.
“Eccellenza – rispose dopo qualche secondo di riflessione – non posso impegnarmi a far modificare i piani dell’Alto Comando. Gli Alleati hanno tutte le ragioni di ricorrere ad ogni azione possibile per indebolire la resistenza sulla linea Gotica e salvare così la vita ad un maggior numero dei loro soldati laggiù”. Il maggiore, per giustificarsi, elencò una serie di elementi di strategia militare e il fatto che a Pontremoli fosse presente un forte contingente nemico.
Mons. Sismondo non si diede certo per vinto, anzi: “Lei parla come un soldato, io invece sono un uomo di pace” rispose elencando quanto di importante fosse conservato in città e quante persone innocenti sarebbero morte sotto le bombe.
Gordon Lett fu colpito da quell’uomo ormai vicino ai settant’anni eppure così determinato: “c’è forse un modo – disse, quasi riflettendo ad alta voce – posso provare ad inviare un messaggio ai miei superiori a Firenze, ma non posso garantire niente. Comunque se devo mandare questo messaggio ho bisogno di informazioni minuziose sui punti nei quali è dislocato il nemico. Come posso fare per averle?”
Nel raccondo del maggiore inglese mons. Sismondo lo guardò a lungo, silenzioso e determinato a far sì che quello spiraglio non si chiudesse. “Quelle sono informazioni che io non le posso dare – rispose alla fine – perché come Ministro di Dio tradirei la mia fede se vi aiutassi ad uccidere degli uomini. Comunque la sua risposta mi dice che, se lo potesse, farebbe del suo meglio per aiutarmi”.
I due conclusero il colloquio, non prima però che il Vescovo aggiungesse “Dio troverà una soluzione”. Prima di andarsene mons. Sismondo informò Gordon Lette e i suoi uomini di avere con sé una lettera dal comando tedesco di Pontremoli con la quale il capitano Muller proponeva uno scambio di prionieri: due partigiani sarebbero stati liberati per ogni soldato tedesco riconsegnato. E altri scambi sarebbero seguiti nei giorni seguenti.
Infine il Vescovo si avviò in direzione di Arzelato rifiutando la scorta partigiana che il maggiore gli aveva offerto. Tornato a Pontremoli fece in modo che arrivassero a Rossano le informazioni richieste.
Il giorno dopo, infatti, Gordon Lett ricevette una busta anonima: all’interno un foglio scritto con una grafia incerta e ricca di errori di ortografia. Ma era quanto sperato: un vero e proprio rapporto che conteneva i particolari di tutti i luoghi, dentro e fuori la città, nei quali erano alloggiati i tedeschi e i fascisti.
“L’ho trovato sotto un albero, maggiore”, disse il partigiano rispondendo all’interrogativo dell’ufficiale. I bombardamenti non cessarono del tutto e altri civili persero la vita, ma nelle restanti settimane di guerra diminuì il numero delle missioni alleate su Pontremoli e, soprattutto, risparmiarono il centro urbano concentrandosi sulle infrastrutture viarie e ferroviarie a nord.
Anche se il 18 marzo una bomba cadde sulle case di San Nicolò per fortuna senza esplodere, mentre il 19 aprile venne centrata in pieno e distrutta la villa Lorenzelli all’imbocco del ponte Pompeo Spagnoli.

Paolo Bissoli