
Ogni lettore è tale a modo suo e nel mio caso nel disordine accanito che mi spinge in qualsivoglia direzione arriva il momento in cui sento il bisogno di ritrovare autori che mi costringono ad uscire dallo stato di necessità della novità o della scoperta per procedere con la calma dovuta nell’immersione di un mondo che porti sicurezza, calma, attenzione rispettosa.
È il caso di Giorgio Montefoschi, romano, 78 anni, venti romanzi con questo, collaborazioni giornalistiche impeccabili, stile suadente, esordio nel 1978 con “L’amore borghese”, seguito nel 1982 da “La felicità coniugale”, premio Strega nel 1994 con “La casa del padre”, prima di questo “Dell’anima non mi importa” (La nave di Teseo, 2020 ).
Con “Un’indicibile tenerezza” (Ed. La nave di Teseo 2024 pagg.320 euro 20) siamo a Roma dove Pietro, uno scrittore sessantaseienne di qualche successo, sta decidendo di non pubblicare il romanzo che lo ha tenuto impegnato per due anni.
Il suo storico editore, Mario, non riesce a convincerlo e prova ad affiancargli una giovane editor, Paola, per smuoverlo. Pietro ha una relazione soddisfacente da tempo con Sabina, architetto più giovane di oltre dieci anni con una figlia ventenne, Annalisa, cui è particolarmente affezionato.
Mario è di frequente a Roma da Milano e la prima parte del romanzo ci fa penetrare con subdola abilità nel rincorrersi di abitudini consolidate in cui i ruoli dei protagonisti delineano rapporti corretti e stimolanti al suono di consapevolezze quasi certificate in armonia con personalità ben delineate che accompagnano il lettore in un piacevole chiacchiericcio attraverso il quale pian piano emergono una sorta di malinconica noia in attesa di occasioni per movimenti tesi da una parte a mantenere una situazione di riposo ma che spesso avviano processi mentali e comportamenti passibili di vie di fuga impensate.
Le situazioni personali, sentimentali, esistenziali, di lavoro sembrano costituire una condizione di stallo quando Pietro si innamora di Paola. Gli eventi ovviamente subiranno un’accelerazione mentre ci accorgeremo che ancora una volta Montefoschi ci ha fatto entrare nella Roma che costituisce non lo sfondo della storia ma nel girovagare dei personaggi il percorso diventa strumento tonale necessario, suggestivo e fondante.
Naturalmente si apprezza anche l’approfondimento in diretta del mondo editoriale sia per i ruoli specifici dei personaggi che per l’arguta solerzia con la quale garbatamente ci incanta, immagino, divertendosi. Alla prossima, possibilmente alla svelta col ventunesimo Montefoschi.
Ariodante Roberto Petacco