
Mons. Mario Vaccari ha presieduto a Pontremoli la S. Messa nella solennità del Corpus Domini. Il significato della processione per le vie cittadine

Le parole del celebre canto eucaristico “T’adoriam ostia divina, t’adoriam ostia d’amor” sono risuonate nel pomeriggio di domenica 2 giugno, solennità del Corpus Domini, mentre Gesù-Eucaristia si “incamminava” per le vie di Pontremoli e attraversava le gioie, i dolori, le angosce, i desideri, gli affanni, le fatiche, le speranze che abitano ogni giorno la “città degli uomini”.
Un incontro solenne, molto partecipato dalle varie Confraternite cittadine e dai fedeli, tanto atteso anche se fino all’ultimo è stato in forse a causa delle precarie condizioni meteo. Quello con Gesù-Eucaristia si fa abbraccio quando, ogni anno, ci si ritrova in un clima orante ma festoso, capace di far assaporare e “gustare” la bellezza dell’amore di Dio per l’uomo.

La processione eucaristica è il modo più significativo per vivere la festa del SS. Corpo e Sangue di Gesù e vuole testimoniare la fede nella presenza reale del Cristo, nella S. Eucaristia. L’ostia che è stata portata in processione è stata consacrata durante la S. Messa solenne che il vescovo diocesano, mons. Mario Vaccari, ha presieduto nella Concattedrale di S. Maria Assunta.
Il Vangelo di questa celebrazione – ha affermato – ci riporta all’attualità di ogni celebrazione eucaristica, attraverso il valore di una cena che Gesù desidera fare con tutti noi, “persone care con le quali ha un rapporto di confidenza vera”: Egli ci raduna e vuole che ci mettiamo “a tavola con Lui”. Con questo il Signore ci comunica un qualcosa di profondo che, attraverso la Sua vita, tocca il nostro cuore.
La Pasqua ebraica – ha proseguito Mons. Vaccari – era diversa dall’offerta del Cristo, “modo nuovo” per vivere quel gesto di donare il pane e il vino che, transustanziati, si fanno Corpo e Sangue. Il sacrificio di Gesù prosegue la ritualità della Pasqua e richiama il rito di Mosè – che ricordava la prima lettura del giorno. Il sangue che Gesù “versa” non è però quello dei giovenchi, immolati in sacrificio, ma “un’alleanza nuova ed eterna”.
La cena pasquale diviene così un’espiazione per tutti e ci sprona ad entrare nel mistero più autentico del Corpus Domini: sancire un’alleanza attraverso il sacrificio del Figlio di Dio. Un’alleanza – ha spiegato il vescovo – è un patto che prevede anzitutto la presenza del Padre che si “impegna” con l’umanità ma anche una risposta del popolo che “vede e comprende” che per diventare “redento” deve rinunciare al proprio interesse.
In questo ci offre un esempio il popolo d’Israele che, dopo aver ricevuto la Legge, deve comprendere come comportarsi. La sequela di questo messaggio non è come quella degli altri popoli ma segue la legislazione divina: per i cristiani la “via” che conduce alla salvezza è il Sangue del Signore.
Prima di comprendere questo, così come insegna San Francesco, è però necessario saper “mettere in pratica” la Legge per poter essere capaci di trasportarla. Per il popolo è importante “avere la forza” di seguire Dio per comprendere come, nonostante la nostra natura ci induca a tradire la Sua alleanza, Egli invece “rimane fedele”.
Il Sangue di Gesù purifica infatti la coscienza del peccatore purché sia in grado di pentirsi e “servire” Dio. È così che il sangue impersonifica la redenzione dell’uomo e, poter partecipare alla “cena dell’Agnello”, significa partecipare alla “vita stessa” di Gesù. Il Suo Corpo donato si fa “comunione” per trasmetterci la capacità di vivere uno stile fraterno. Uno stile che vuole essere “gesto” per l’umanità intera: questa è l’ottica della missione cristiana che porta ad annunciare il Vangelo “a tutte le creature”.
Infine il nostro Vescovo ha voluto sottolineare quanto sia importante la possibilità che abbiamo di celebrare l’Eucaristia in tanti luoghi, a volte particolari per natura o per significato, perché la via di essere “popolo salvato” non deve essere oggetto soltanto di un ristretto numero di persone ma per tutta l’umanità.
Fabio Venturini