
Il bicameralismo perfetto vigente in Italia è un meccanismo farraginoso che impone ritmi lunghissimi per l’approvazione delle leggi… a meno che non ci sia la volontà di accelerare i tempi. È accaduto per la legge sulle unioni civili, sta accadendo ora per la legge sul fine vita, approvata in questi giorni alla Camera e approdata al Senato, con “corsia preferenziale”.
Si viaggia sempre sulla spinta delle emergenze emotive dichiarando che il Paese, per essere civile, deve essere al passo coi tempi. Si viaggia sulla scia di un individualismo quasi sfrenato con un dibattito contrassegnato da forti toni ideologici.
La Camera, quindi, ha approvato con un ampio scarto di voti – 326 favorevoli (basati sull’asse Pd-M5S), 37 contrari, 4 astenuti – il disegno di legge sulle disposizioni anticipate di trattamento sanitario per il fine vita (Dat). Sembrerebbe che non vi siano problemi, data la grande maggioranza manifestatasi in Parlamento.
Se però si guarda bene qualcosa non funziona. I deputati sono 630, la maggioranza conta su 401 deputati, i presenti erano 367. Per un problema di queste dimensioni si è ancora una volta registrato un certo disinteresse, anche se evidentemente si riteneva che l’esito fosse scontato.
Il testo votato ha subito vari emendamenti migliorativi, proposti per lo più da deputati cattolici, che ne hanno leggermente modificato la struttura, ma rimane sostanzialmente “irricevibile”. Nei sei articoli la legge introduce il divieto di accanimento terapeutico, dimenticando che in Italia già esiste una legge del 2010 che sancisce il diritto alla terapia del dolore e alle cure palliative; come già è presente, dal 1978, il consenso informato.
Qui le indicazioni sono piuttosto contraddittorie; da una parte si afferma che, senza il consenso informato, “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito”, dall’altra si dice che esso è l’incontro tra “l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
Se si aggiunge che le Dat hanno valore di disposizioni vincolanti per gli operatori sanitari non si capisce bene a cosa servano nel fine vita le competenze e le autonomie dei medici che, oltretutto, da sempre sono tenuti a esercitare la loro professione in favore della vita.
C’è uno spiraglio nel riconoscere la professionalità e deontologia dei medici quando genericamente si dice che di fronte a richieste del paziente di trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali, il medico non ha obblighi professionali e si può opporre; ma la dizione è talmente evanescente e generica che difficilmente il medico potrà sottrarsi alle richieste. Il punto più critico della legge riguarda l’alimentazione e l’idratazione artificiali, che la legge dichiara “trattamenti sanitari”, equiparandole ai farmaci.
Non si può parlare propriamente di farmaci quando si tratta di far morire per sete o per fame e questo può avvenire in base ad una diagnosi autodeterminata, dal malato o dal suo fiduciario, di “vita non degna”. L’orizzonte della legge non appare, qui, il fine vita, ma l’eutanasia mascherata o il suicidio assistito.
Nel Senato i numeri sono diversi e probabilmente, visto che molte perplessità sono trasversali, la legge avrà qualche problema in più per l’approvazione, il che potrebbe portare a modifiche significative.
Giovanni Barbieri
Quale vita?
La vita appartiene a quelle realtà la cui esperienza è immediata. Essa è in noi e tutto questo assume un carattere di naturalezza che diamo per scontata. Tuttavia ci sono delle fasi in cui si impone la necessità di prendere coscienza di quello che, fino ad un certo punto, è stato per noi un fatto evidente e spontaneo. Queste fasi sono, spesso, provocate da malattie importanti improvvise, irreversibili, degenerative che provocano sofferenza, smarrimento, solitudine, angoscia. Nella strettoia di questi eventi affiorano le riflessioni sul senso della vita, sulla sua origine e sulla sua destinazione. Se il vivere è sinonimo di mente e fisico sani sorge, allora, la questione del livello umano a cui la vita deve attenersi e sotto il quale non può scendere. Se è dono è dono sempre, anche nell’infermità e nelle mille fragilità che scaturiscono dalle malattie. La scelta di Dj Fabo e di Davide Trentini, abitante nel Villaggio di Castagnara (Massa), di porre fine alla propria vita perché non più degna di essere considerata tale, secondo la loro opinione, merita rispetto, lungi da qualsiasi giudizio. Di fronte al mistero della vita, della sofferenza e della morte ci inchiniamo senza scordare, però, lo stretto confine tra dolore e forza della vita. La sottile terra di nessuno nel cui perimetro ci ritroviamo sovente. La scelta della morte, sicuramente più sbrigativa, tanto da essere “spacciata” come vera scelta d’amore, è una porta che si chiude per sempre. La scelta della forza della vita è una porta che si apre alle relazioni, alle cure, alla ricerca, alla solidarietà, all’amicizia… È dunque un grande ‘sì’, illuminato, per chi crede, dalla fede e dalla vittoria di Gesù sulla croce. L’uomo non è un oggetto, un ingombro, una merce e la sua dignità non è nel successo, nell’efficientismo e nemmeno nella sua salute. La dignità è nello stesso atto di esistere ed è l’unico, meraviglioso regalo che, giorno per giorno, affronta la sua sfida nel nome di un fine. Non di una fine.
(Ivana Fornesi)