La Terra Santa reclama giustizia

La pace in Terra Santa è un’utopia: la cronaca di questi giorni conferma che il disegno di “due popoli, due stati”, entrambi con capitale a Gerusalemme, è fallito. Le risoluzioni del 1948 e del 1967, ridotte a lettera morta, rimangono a testimoniare la drammatica inutilità dell’Onu sul teatro mediorientale. L’ennesimo conflitto israelo-palestinese, con il suo tragico carico di morte e distruzione è la foglia di fico di ciniche istanze che con le rivendicazioni territoriali poco hanno a che fare.
Dietro Hamas si nasconde l’Iran, interessato a provocare Israele e gli Stati Uniti più che a sostenere una causa palestinese che nemmeno Al Fatah riesce a promuovere, paralizzato da lotte di potere interne che fanno perdere ad Abu Mazen qualsiasi autorevolezza. Sul fronte opposto, la paralisi politica che investe Israele (quattro elezioni in due anni, con la prospettiva delle quinte in autunno) e il crepuscolo di Benjamin Netanyahu, dodici anni al potere e tre processi che lo attendono, possono essere mitigati solo dal richiamo all’unità nazionale contro il nemico palestinese.
Un’unità costruita non solo intorno alle bombe che sventrano l’immenso ghetto di Gaza, colpendo scuole e sedi dei mass-media internazionali, non solo con l’apartheid nei confronti dei palestinesi, dimostrato dalle espulsioni da Gerusalemme Est che hanno dato il via agli scontri di queste settimane, ma soprattutto assecondando le istanze della destra sionista e ultraortodossa, come l’approvazione, nel 2018, della legge costituzionale che definisce Israele “Stato del popolo ebraico”, dichiara Gerusalemme capitale e considera lo sviluppo degli insediamenti ebraici “un valore nazionale”.
Questo clima politico, reso ancor più incandescente dall’attivismo turco attorno ad Hamas e dalle aperture di Tel Aviv ai paesi arabi (Emirati, Bahrein, in futuro forse l’Arabia), sta trasformando il conflitto in Palestina in uno strumento utile alle potenze mondiali e regionali per fissare nuovi equilibri geopolitici nel Medioriente. A farne le spese è la popolazione civile dei due popoli. Specialmente quello palestinese: lo dicono la macabra contabilità delle vittime e la storia di un conflitto che continua a opporre uno degli eserciti meglio equipaggiati del mondo alla guerriglia, uno Stato che allarga ogni giorno la sua sovranità fuori dai confini stabiliti a uno Stato che di fatto non esiste, una popolazione con piena cittadinanza a un’etnia priva di diritti civili.
Plasmare una diversa narrazione trasformando i razzi lanciati da Gaza in “missili”, gli interventi dell’esercito sui civili in “scontri” e i territori occupati dai coloni in “terre contese” fa forse il gioco di una politica italiana unita nello schierarsi con Israele, ma fa un pessimo servizio alla verità e alla giustizia che la Terra Santa reclama.

Davide Tondani