
Un figlio di contadini, MaoTse-ung, aveva portato alla vittoria quel partito comunista nato nel luglio 1921. Un’ascesa decisiva, segnata dalla vittoria su Chiang Kai-shek e da dure repressioni
Il risveglio della Cina è stato evento fondamentale nel Novecento. L’impero dei Manciù, al potere dal 1644, non era riuscito a difendere gli interessi cinesi dalle mire imperialistiche delle grandi potenze. Si affermò in Cina un nazionalismo nuovo, rivoluzionario che portò nel 1911 a proclamare la Repubblica per modernizzare la Cina in termini democratici parlamentari. Il programma non andava bene ai latifondisti, ai capi militari e alla borghesia urbana molto legata per i suoi interessi alle potenze straniere e ostile al rinnovamento sociale interno.
Nel 1912, per evitare una guerra civile, il potere passò al Nord, sotto il controllo dei capi militari, i “signori della guerra”, al Sud, sotto una coalizione di nazionalisti del partito Kuomintang e di comunisti, che fondarono nel luglio 1921 il Partito Comunista Cinese a Shanghai da parte di intellettuali tra cui Mao Tse-tung (1893-1976), figlio di contadini della provincia di Hunan.
Una rivoluzione partita dalle campagne.
Il 1° ottobre di 70 anni fa la proclamazione
della Repubblica Popolare
La Cina moderna aveva trovato il suo creatore; l’ascesa di Mao sarà decisiva dopo aver superato fasi tempestose di conflitto con Chiang Kai-shek che scatenò contro i comunisti una guerra civile e gravi repressioni nel 1927. Fu un massacro che quasi annientò i quadri del partito comunista, Mao avviò una strategia che individuava nelle campagne il perno dell’azione rivoluzionaria comunista. Nel 1931 fu ufficialmente proclamata la Repubblica Sovietica cinese, presidente Mao. I nazionalisti di Chiang volevano estirpare i comunisti e lanciarono contro cinque “campagne di annientamento” con mobilitazione di enormi forze.
Dopo un anno di terribili perdite, nell’ottobre 1934, per sfuggire all’accerchiamento, Mao decise la “lunga marcia” entrata nel mito. Da Julchin nel sud alla remota e poverissima Yenan a nord-ovest, sotto continui attacchi dei nazionalisti, per 368 giorni su terreno difficile centomila soldati dell’armata rossa di Mao fecero a zigzag circa 13mila chilometri; ne giunsero in salvo meno di 30mila, secondo le stime dello storico Henry McHaleavy (Storia della Cina moderna, Rizzoli, 1969), per altri le cifre sono ancora più catastrofiche. Mao balzò in primo piano come capo indiscusso di tutto il partito comunista cinese. Erano tempi terribili perché nel 1937 il Giappone militarista aggredì la Cina con una guerra su larga scala, conquistò l’intero Nord e le grandi città, fu creato un governo collaborazionista.
Nessuna delle potenze occidentali fu disposta “a morire per i cinesi” sui quali il Giappone ebbe mano libera e fu compiuto ogni tipo di atrocità. Per salvare la Cina fu necessario formare un fronte nazionale antigiapponese con tregua tra nazionalisti e comunisti; sarà la guerra mondiale sul Pacifico a fermare l’avanzata giapponese. La Cina liberata fu riunificata da Chiang Kai-shek e entrò nell’ONU. Ma la lotta coi comunisti si riaccese e fu una nuova guerra civile del 1948-’49 questa volta vinta da Mao usando anche armi ideologiche: prometteva alla gran massa povera delle campagne non più blande riforme agrarie ma grandi benefici. I contadini si aggregavano con entusiasmo alla guerriglia contro i nazionalisti che, perso l’appoggio americano, cercavano di difendersi col terrore: sconfitti ripararono nell’isola di Formosa.
L’esercito di Liberazione di Mao arrivò a Pechino, capitale della Cina unificata, l’1 ottobre 1949 vi fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese. I delegati comunisti, i rappresentanti dei cinesi emigrati e delle minoranze etniche, sotto la guida del “grande timoniere Mao” si misero al lavoro per trasformare la Cina da paese agricolo in paese industriale e creare uno stato socialista da trasformare nell’utopistica società senza classi del comunismo. La prima costituzione repubblicana riconosceva la sovranità ad un Consiglio consultivo del popolo che eleggeva il principale organo esecutivo di 56 membri di cui Mao era il presidente e come tale capo dello stato.
Un lavoro lungo decenni per trasformare
la Cina da paese agricolo a potenza
industriale mondiale
Una nuova costituzione del 1954 centralizzò l’apparato amministrativo senza organi intermedi tra la capitale e le province; l’informazione libera è bandita, nelle scuole sono obbligatori corsi di marxismo. La Cina deve tener conto anche dei rapporti con l’Urss prima accettata da Mao come paese guida del mondo comunista, ma motivi di contrasto porteranno allo strappo da Mosca. L’importante legge agraria rompe i ceppi feudali ed espropria le terre ai latifondisti, ai monasteri; alle classi più povere veniva dato un piccolo terreno per uso personale sottratto alla collettivizzazione rigidamente controllata dal potere centrale che metteva in ogni provincia temutissimi tribunali del popolo inappellabili.
Sulla strada del socialismo fu lanciato il primo piano quinquennale 1953-1957 con esiti di notevole sviluppo soprattutto dell’industria pesante. Venne il “grande balzo in avanti” del secondo quinquennale, superando le cooperative nacque la Comune, niente più era privato per 5mila famiglie costrette al massimo di ore di lavoro, tanto che fu necessario attenuare le regole. In politica estera tante le crisi con Formosa, Corea, Tibet, India: la Cina si dota di armi atomiche.
Mao per tener saldo il potere si accanisce contro il pericolo di contaminazione culturale dall’Occidente, raccoglie il suo pensiero nel “libretto rosso” della rivoluzione culturale con forte attacco a intellettuali, istituzioni scolastiche, in tutta la Cina l’estremismo delle giovani guardie rosse provocò scontri violenti a rischio di guerra civile, milioni furono le vittime e blocco dello sviluppo; infine prevalse una linea più moderata e aperta al mondo: la visita di Nixon del 1972 fu la svolta più significativa di Mao prima della morte. Si preparava la lunga marcia verso l’odierno capitalismo dei comunisti.
Maria Luisa Simoncelli