
A Fivizzano la conferenza di Riccardo Boggi nel Museo degli Agostiniani
“Mia mamma, la Carò, era per tutti la curadora di Monzone Alto”: è la testimonianza del figlio, Ciro Pennucci, che farà parte di una raccolta di ricordi che restituiranno uno spaccato di vita del passato, poi non molto lontano, in quel piccolo paese della Lunigiana. Alla Carò ricorrevano persone di ogni età, se si sentivano strane, se non riuscivano a dormire, se avevano figli piagnucolosi, che ritenevano ammalocchiati.
Dopo il rito dei “piatti”, la pronuncia di formule incomprensibili, la recita di una preghiera, tutti, a sentir dire, riacquistavano la loro serenità. La Carò può ritenersi una di quelle donne dei segni a cui Riccardo Boggi ha dedicato la sua brillante conferenza nel Museo degli Agostiniani, seguita con interesse e curiosità dal numeroso pubblico presente. In effetti le mani e i saperi delle donne sono da sempre la prima cura alle difficoltà, ansie, paure di ognuno.
Già nell’antichità raccoglievano le erbe, di cui conoscevano le proprietà curative, ed anche i pericoli, e nel corso dei secoli, grazie a particolari riti e scongiuri, c’è stata chi ha maturato fama e pratica di guaritrice, quando non l’accusa – di derivazione laica più che religiosa – di stregoneria, specialmente nel Medioevo.
La donna guaritrice poteva trasmettere il potere dei segni alla figlia o alla nipote nella notte di Natale, quando gli animali parlavano per raccontare a Gesù Bambino come erano stati trattati e le donne di Filattiera filavano sottili fili di canapa che cucivano nelle vesti per essere protette. Chi lo riceveva, per esercitarlo, doveva avere fede e promettere di non chiedere compensi (quest’ultimo aspetto differenzia la guaritrice dai moderni maghi, piuttosto dediti alla speculazione).
Rivolgersi a lei era – ma si potrebbe dire anche è – frequente, costituendo, insieme alla medicina e alla preghiera, un mezzo, la speranza di riuscire a contrastare la malattia e la morte e a tener lontano “Vermi, lutto, vil pietra o poca arena, che chiudono al far d’ognuno la scena”, come si legge in una epigrafe del 1858 nel cimitero di Vignola.
Certo che la diffidenza nei suoi confronti c’è sempre stata, perché, popolana ed ingenua, pur di fede, poteva usare male le conoscenze e, poi, di mezzo, c’era lui, il diavolo, per il quale è più facile aggredire le donne e convincerle, come avvenne con Eva, “che prese il frutto e mangiò”. E il peccato originale, dice Tertulliano, fu causa della morte di Cristo, ma gli effetti della presenza del diavolo per Gerolamo Menghi, famoso esorcista del XVI secolo, sono in ogni malattia. Anche Sant’Agostino sosteneva che i diavoli possono causare malattie alla mente e alle membra, ad insaputa delle persone.
Diffusa, però, presso i Greci, gli Egizi e, ancor più, presso i Romani era la convinzione che le malattie fossero una punizione degli Dei per le colpe degli uomini. Ma come guarirle? La strada la indica Gregorio I (590), per il quale l’unica cura contro le malattie è la fede: Dio punisce, Dio guarisce. Cristo è l’unico medico.
Ma fin dai tempi lontani le “donne dei segni” hanno operato, per allontanare la malattia, attraverso formule, le Historiole, più volte ripetute e accompagnate da preghiere e da segni di croce, quando non da chicchi di sale, sassolini, erbe di vario tipo… e da invocazioni come questa: “Gesù è nato a Betaleme, kol nome di Gesù di Giusèp di Maria e l’onor dla Santisma Ternità kla g’amanda la sanità”. Viene da chiedersi quale sia stato l’atteggiamento della Chiesa e degli uomini di chiesa di fronte a questi fenomeni.
Risulta, ha ricordato Boggi, che se ne siano occupati fin dal V secolo, con giudizi di disapprovazione mantenuti nel tempo. San Bernardino da Siena ( XIV/V sec.), ad esempio, fu nemico delle donne dei segni, non meno dei medici (“Vili donne che hanno usurpato l’arte medica”). Forse, però, la valutazione più giusta è quella di prudente saggezza data dal vescovo mons. Sismondo: “Sono espressione di una fede ingenua, da non incoraggiare, ma neppure da condannare”.
Andreino Fabiani