Il restauro dell’antico edificio un tempo nella campagna ai margini del centro
La recente inaugurazione del restauro della chiesa di San Giacomo del Campo (nota anche come “la chiesa della Misericordia”) ci offre l’opportunità di ripercorrerne le vicende storiche pubblicando alcuni stralci della relazione che l’arch. Emanuela Curadi ha steso per la progettazione di un intervento di recupero che ha richiesto uno studio attento, un investimento di poco inferiore ai 200mila euro e che ha visto mettere in opera tecniche innovative e sperimentare con successo l’utilizzo di materiali alternativi.
La costruzione della piccola chiesa di San Giacomo del Campo risale ad epoca antica: nell’opera di Franchi e Lallai, “Da Luni a Massa Carrara-Pontremoli” è chiamata San Giacomo Maggiore, identificata con la cappella di San Cristoforo de Campo e ricordata nella Bolla di Gregorio VIII del 14 dicembre 1187 come dipendente dal Capitolo della Cattedrale di Luni. Lo storico Pietro Bologna, in “Artisti e cose d’arte pontremolesi”, riporta quanto trovato negli Annali di Pontremoli da Bernardino Campi, ipotizzando l’edificazione della chiesa di San Giacomo nell’anno 889. Nicola Zucchi Castellini, nel suo “Catalogo delle chiese parrocchiali, conventi ed oratori di Pontremoli”, la annovera fra quelle di fondazione laicale, incluse nelle liste delle decime bonifaciane, già esistenti alla fine del sec. XIII; compare anche nella Colletta per la Crociata del 1276, col solo nome de campo.
Particolare della parte alta della facciata prima del restauro
Questo appellativo fa pensare ad una collocazione in aperta campagna (“nei campi”) e, quindi, cronologicamente prima che il borgo di Pontremoli si estendesse al di là del fosso della Carpanella che, famoso per le sue improvvise esondazioni, fu tombato all’inizio del Novecento. Il Bologna riporta pure che annesso alla chiesa fu eretto un “Ospitale per l’albergo dei poveri”: è plausibile pensare che esso fosse utilizzato come ostello-rifugio per i pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela, passando per Pontremoli. San Giacomo divenne parrocchia nel secolo XVI: l’archivio parrocchiale inizia però nel 1614 probabilmente da quando il borgo iniziò ad estendersi sulla riva sinistra del fiume Magra fino a Porta Fiorentina.
Particolare del tetto della chiesa prima degli interventi di restauro
Alle sue dipendenze viene annoverato l’oratorio di San Rocco: edificato nel 1527 in seguito ad un voto, oggi è andato completamente distrutto. Nel 1785 fu soppressa la parrocchia di Santa Cristina che venne accorpata con quella di San Giacomo del Campo, ma come chiesa parrocchiale venne scelta la prima, più vicina al centro del borgo cittadino e soprattutto al di qua del già citato capriccioso canale della Carpanella. San Giacomo divenne così la sede della Venerabile Confraternita della Misericordia, che negli stessi anni fu rifondata a seguito della riforma del granduca Pietro Leopoldo, che soppresse e accorpò le numerose piccole confraternite esistenti a Pontremoli.
Particolare della facciata prima del restauro con le evidenti infiltrazioni d’acqua
Poche notizie si hanno dei primi tempi della ripresa del cammino della Confraternita in questa chiesa; di certo qui vennero portati la bella statua di San Rocco appartenente all’oratorio sopra citato e il quadro della Madonna di San Luca, che costituivano le due antiche e proprie devozioni della parrocchia. La statua fu commissionata da una non meglio specificata “Marchesa di Mulazzo”, sicuramente Malaspina, realizzata a Piacenza probabilmente dall’artista fiammingo Jan Geernaert, e benedetta dal Vescovo di quella città nel gennaio nel 1751.
Invece la devozione alla Madonna di San Luca, chiamata anche del Patrocinio di Maria, era quella mariana propria della parrocchia di San Giacomo sopra il cui altare Maggiore, già all’inizio del Settecento, era posto il quadro della Beata Vergine Maria “…con cornice inorata e sua tendina davanti”. Gli ornamenti d’oro e d’argento che ancora oggi si possono ammirare appesi all’effige sono stati donati dalla contessa Apollonia Campana di Seravezza, madre dei canonici Antonio e Stanislao Bonaventuri, famosi benefattori della Confraternita.
L’altare maggiore con le bellissime quanto rare colonne tortili monolitiche in marmo Arabescato
L’altare maggiore è il risultato dell’assemblaggio di due altari in marmo sovrapposti: sulla parete di fondo del presbiterio è collocato il prospetto di un altare seicentesco con due bellissime quanto rare colonne tortili monolitiche in marmo Arabescato, capitelli e frontone ad arco in marmo Calacatta: qui è la statua della Madonna. Alla base e davanti a questo altare si trova una mensa di altare ottocentesco (qui trasferito dalla Cattedrale all’inizio del XIX secolo), rialzato di tre gradini, con al centro il tabernacolo che, assieme al paliotto, ricordano l’originaria destinazione al culto del Sacro Cuore.
Soprattutto Stanislao ebbe un ruolo fondamentale nella ricostruzione dell’altare maggiore e degli altari laterali, rinnovamento che viene sottolineato da una coeva descrizione di Pontremoli (1841), in cui vengono ricordati anche gli antichi altari della soppressa Confraternita, destinati ad impreziosire la chiesa di Santa Cristina: “La Misericordia è un vago oratorio, modernamente abbellito di fregi di marmo. […] La chiesa dei SS. Giacomo e Cristina è fregiata con più gusto; i suoi altari in marmo furono estratti dal vicino oratorio della Misericordia”.
Le transenne che delimitavano l’area della facciata per il pericolo di crollo prima dei restauri
L’inventario generale dei beni della Venerabile Misericordia, datato 1894, ci dà una descrizione sommaria della chiesa: “[…] Oratorio di San Giacomo la quale è abbellita di n. 4 altari in marmo, dei quali, l’altare maggiore con ancona dedicata al Santo sopradetto; l’altro con ancona dedicata a S. Rocco, di cui esiste la statua in legno; l’altro con ancona dedicato a Gesù Morto di cui esiste l’effigie in carta pesta; l’altro dedicato alla Madonna di San Luca della quale avvi un quadro con Cornice Immecata, Corona alla Beata Vergine e al Bambino in argento, […]. L’ultimo altare in pietra e calce dedicato a Santo Isidoro, Interdetto”. Tra le numerose vicissitudini, la chiesa fu interessata anche dal terremoto del 1920, che arrecò notevoli danni alla struttura del tetto e delle volte a botte, come si evince da una dichiarazione del Priore: “…in seguito alla fortissima, prolungata e spaventosissima scossa di terremoto delle ore 7,40 di questa mattina, dopo una eccitazione e spavento grandissimi si va man mano ristabilendo la calma negli animi agitati e, grazie a Dio, si vien constatando che nella città, tranne qualche danno reparabile come primo di tutti quello della nostra chiesa, non vi sono né morti né feriti…”
La chiesa rimase chiusa fino al maggio 1924, al termine dei lavori di restauro delle volte in muratura, del tetto e dell’organo, rimasto anch’esso gravemente dannneggiato. Successivamente fu tinteggiata più volte e, negli anni Sessanta, fu sostituito il pavimento originale, probabilmente in cotto, con uno più “adeguato” per l’epoca: in mattonelle di marmo, a scacchiera, bianco e nero, fornito dalla nota ditta pontremolese Palmieri.
Prima degli attuali lavori di restauro la chiesa si presentava tinteggiata di due diverse tonalità di grigio e con evidenti rappezzi qua e là. Le infiltrazioni d’acqua dal tetto avevano rovinato parte dell’intonaco delle volte, mentre l’umidità di risalita aveva sgretolato quello in basso. In generale lo stato di conservazione non era buono.