
A Pontremoli, domenica 28 ottobre, al “Manzoni” in diretta da Londra. Insieme al “Lohengrin” è quella che più si avvicina al genere del melodramma italiano con le sue arie per tenore eroico, i duetti intimi, l’orchestra che non di rado assume toni e movenze cameristiche
Hanno avuto un grosso rilievo nel 2013, anche al di là degli appassionati di musica classica e dei melomani, le celebrazioni per i duecento anni dalla nascita di Richard Wagner e Giuseppe Verdi. Dimostrazione di come questi due autori sono senza ombra di dubbio i due compositori simbolo dell’opera dell’ottocento (e non solo), eppure sono allo stesso tempo due musicisti molto distanti tra loro, sia sul piano umano che su quello artistico.
Più riservato e schivo Verdi, più esuberante e cerebrale Wagner anche se difficilmente i due compositori, così attenti all’evoluzione musicale e che sapevano di musica e di teatro troppo bene, non potevano non stimarsi tacitamente (e in questo senso sono famosi i commenti, con giudizi alterni, scritti da Verdi sopra le partiture del maestro di Lipsia). Grazie alle loro rappresentazioni la forza della musica, la potenza dei cori, l’utilizzo della parola scenica, l’intreccio di melodia e poesia e l’uso di allestimenti teatrali imponenti hanno consentito all’opera teatrale di sublimarsi e divenire racconto di vita e di sogno.
Due personalità che, dietro le forti differenze, sono però entrambe animate dalla voglia di cambiare le cose, dal sentimento rivoluzionario, dall’amore per la loro terra, dal sogno di una patria unita e dalla passione viscerale per la musica, che li ha portati a realizzare alcune delle opere più intense ed emozionali della storia del melodramma.
Wagner intendeva il dramma come elemento, non solo di introspezione personale, ma anche come l’unico strumento per distaccarsi dall’ipocrisia del mondo. Nella tetralogia “L’anello del Nibelungo” (composto da “L’oro del Reno”, “La Valchiria”, “Sigfrido” e “Il crepuscolo degli Dei”), viene rappresentata la nostalgia di un mondo lontano dove trovare la felicità si fa sentire in maniera molto forte, e la salvezza è possibile solo attraverso la redenzione.
E di questa immensa opera senza dubbio il dramma più noto, che viene spesso messo in scena anche singolarmente, è “La Valchiria” che verrà rappresentato alla Royal Opera House di Londra (sotto la direzione di Antonio Pappano), domenica 28 ottobre, e che verrà trasmesso in diretta dal cinema Manzoni di Pontremoli a partire dalle 18.
L’opera è, insieme al “Lohengrin”, quella che più si avvicina al genere del melodramma italiano con le sue arie per tenore eroico, i duetti intimi e legati all’introspezione psicologica, l’orchestra che non di rado assume toni e movenze cameristiche anche se restano celeberrime alcune pagine di potente sinfonismo come la Cavalcata delle Valchirie.
Con questa partitura Wagner esplora la capacità di penetrare l’animo dei personaggi attraverso lo sviluppo orchestrale che evidenzia il consolidamento definitivo dei frutti della rivoluzione formale con l’abbandono del dualismo tra forme chiuse e recitativo e l’assunzione della forma libera, intessuta attraverso l’elaborazione del materiale del leitmotive.
Questi motivi, di regola, sono cellule brevi e pregnanti, create per essere ripetute, dislocate in progressione, combinate, per costituire le tessere di un flusso musicale continuo e che vengono associati a concetti, personaggi, oggetti, atteggiamenti. Un modo per fondare il senso di un universo mitico, ciclico, basato sul ritorno del sempre uguale, e a suggerire un modo arcaico di raccontare attraverso la musica.
(r.s.)