
A Marghera, Livorno e Treviglio le ultime vittime
Due operai morti nel porto di Livorno la settimana scorsa; altri due, il giorno di Pasqua, a Treviglio, in un’azienda produttrice di mangimi, fino a un’ultima vittima in un cantiere stradale a Marghera, martedì scorso: sono solo gli episodi più recenti di una piaga senza fine: quella delle morti sul lavoro in Italia.
L’Osservatorio indipendente di Bologna, che monitora il problema, ha già censito nel 2018 ben 155 vittime. Nel 2017 i caduti sul lavoro sono stati 632; 641 nel 2016.
Secondo quell’organismo, fondato nel 2008 sull’onda dell’emozione popolare conseguente al rogo della ThyssenKrupp di Torino, è l’agricoltura il comparto con più morti, il 30% del totale, seguita dal settore edile, con il 20%.
Dati non sorprendenti, ma in grado di fornire altri spunti di riflessione, a partire dal fatto che nell’ultimo decennio il 25% di tutti i morti sui luoghi di lavoro aveva più di 60 anni, mentre gli stranieri morti per infortunio sono già, in questo primo scorcio d’anno, il 10%.
Altro dato interessante offerto dall’Osservatorio è il numero di morti per dimensione dell’azienda: nei luoghi di lavoro con oltre 15 dipendenti (quelli in cui sono presenti delegati dei lavoratori e sindacati) le morti sono quasi inesistenti e riguardano per la maggior parte lavoratori di aziende appaltatrici, spesso manutentori degli impianti, vittime di condizioni di lavoro sovente rese pericolose dalla necessità di conservare la commessa.
A crescere, oltre alle morti sul lavoro, sono anche gli infortuni. A certificare questo dato è l’Inail: tra gennaio e luglio dello scorso anno le denunce di infortunio sono state circa 380mila, con un incremento dell’1,3% rispetto al 2016. Nonostante l’Italia sia dotata da decenni di un apparato normativo all’avanguardia per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, morti e infortuni non diminuiscono.
Pur attribuendo alla fatalità o all’eccessiva “confidenza” con le procedure una quota tristemente fisiologica dei sinistri, non si può negare che il deterioramento del tessuto economico in un periodo di prolungata crisi abbia riflessi importanti sulle condizioni di lavoro; a farne le spese, in ultima istanza, sono i lavoratori impiegati in mansioni maggiormente pericolose.
Una situazione resa ancor più critica dal ruolo dello Stato: sebbene le leggi ci siano, sono i controlli a mancare. Le condizioni di sicurezza di 21 milioni di lavoratori e di centinaia di migliaia di luoghi di lavoro sono affidati a 2.800 ispettori, un numero esiguo, capace nel 2017 (dati del Rapporto annuale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro) di 160 mila controlli, compresi quelli di natura previdenziale. Troppo pochi, evidentemente, per diffondere la cultura della legalità e della sicurezza nel mondo del lavoro italiano.
(Davide Tondani)