Sanità pubblica in ritirata: cresce il privato, per chi riesce a pagare

L’Annuario del Servizio Sanitario Nazionale relativo al 2023 mette in luce la riduzione delle prestazioni ospedaliere e i mancati investimenti nella medicina del territorio.
Dal 2013 al 2023 tagliati 10 mila posti letto e chiusi 74 ospedali. In occasione della Giornata Mondiale della Salute del 7 aprile è importante riflettere sulle difficoltà a garantire cure accessibili per tutti.
Chiuso un Consultorio su dieci, giù anche il numero dei Centri di salute mentale. I medici di famiglia dai 45.203 del 2013, sono diventati 37.983 nel 2023

La Giornata Mondiale della Salute indetta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità per il 7 aprile è l’occasione per sensibilizzare la comunità internazionale su argomenti cruciali che riguardano la salute pubblica.
L’obiettivo di quest’anno è quello di esortare i governi e la comunità sanitaria a intensificare gli sforzi per porre fine alle morti prevenibili di madri e neonati, e a dare priorità alla salute e al benessere a lungo termine delle donne.
Tuttavia la “Rete europea-La salute non è in vendita”, formata da diverse realtà associative e sindacali operanti in diversi paesi UE, ha scelto di caratterizzare meglio questa giornata sensibilizzando contro la commercializzazione della salute e la privatizzazione dei servizi sanitari, per l’accessibilità alle cure di qualità per tutti.
Da questo punto di vista le difficoltà del servizio sanitario italiano sono ben documentate dall’Annuario del Servizio Sanitario Nazionale relativo al 2023 diffuso di recente dal Ministero della Salute. Dal 2013 al 2023 sono stati tagliati 10 mila posti letto e chiusi 74 ospedali, passando da 1070 a 996, il 7% in meno.
I nuovi standard ospedalieri stabiliti nel 2015 avevano lo scopo di garantire appropriatezza, sicurezza, miglior qualità delle cure, oltre che riduzione della spesa.
Accanto alla riduzione dei posti letto e della durata di degenza, prevedeva perciò un rafforzamento delle cure primarie a livello territoriale, incaricando di ciò le Regioni. Tuttavia, l’attuazione degli interventi non avrebbe dovuto comportare nuovi oneri per la finanza pubblica.
Di fatto, senza investimento di nuove risorse è andata in sofferenza la medicina del territorio. Alcuni dati lo testimoniano: è stato chiuso un Consultorio su 10 (erano 2.430 nel 2013 contro i 2.140 del 2023); giù anche il numero dei Centri di salute mentale, che dopo la pandemia hanno visto aumentare i potenziali utenti ma diminuire l’offerta per i pazienti: erano 1.603 dieci anni fa e sono diventati 1.334 nel 2023; i medici di famiglia, dai 45.203 che erano nel 2013, sono diventati 37.983 nel 2023. In flessione anche i pediatri: meno 999 in 10 anni; in calo pure i medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) che dagli 11.533 che erano nel 2013 sono diventati 10.050 nel 2023.
Il venire meno dell’assistenza territoriale e le difficoltà nella realizzazione delle Case di Comunità rialimentano, in particolare nelle aree montane e periferiche, una mai sopita voglia di “più ospedale”, che non è sempre la soluzione più appropriata.
E’ cresciuta invece l’assistenza domiciliare integrata rivolta a pazienti più anziani e fragili. In 10 anni sono raddoppiate le persone assistite: dai 732.780 pazienti del 2013 nel 2023 esse sono state 1.645.234.
A peggiorare sono però le ore dedicate a ciascun paziente: nel 2013 erano 18 contro le 15 ore del 2023. Non deve sorprendere il calo degli accessi – quasi due milioni in meno – ai pronto soccorso, passati dai 20,5 milioni del 2013 ai 18,4 del 2023 (311 accessi ogni 1000 abitanti): meno accessi, ma in una condizione di minori strutture disponibili, ambulanze, centri di rianimazione e Dipartimenti di Emergenza.
A questo dato contribuisce anche il fenomeno della rinuncia alle cure. Si tratta della rinuncia o del ritardato accesso a visite mediche, terapie ed esami diagnostici tempestivi ed efficaci. Si è evidenziato in corso di pandemia Covid19 ma si mantiene ancora oggi per le difficoltà economiche o più spesso per le lunghe liste di attesa.
Nel biennio 2022-2023, secondo il sistema di sorveglianza Passi d’Argento, il 18% degli ultra 65enni ha dichiarato di aver rinunciato, nei 12 mesi precedenti, ad almeno una visita medica o a un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno.
Ciò non solo può tradursi in esiti peggiori di salute per i singoli individui ma, sul lungo periodo, anche in un aumento dei costi per il sistema sanitario.
A fronte di un settore pubblico che non investe è in costante crescita il privato, con servizi per pazienti con disponibilità a pagare, in proprio o tramite assicurazione oppure in convenzione.

Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci (Foto Presidenza del Consiglio dei Ministri)

Cresce, grazie al privato, anche l’assistenza territoriale residenziale che a fronte delle 6.834 strutture presenti nel 2013 ne conta 8.114 nel 2023 (pubbliche sono appena il 15%). Stesso trend, in senso privatistico, riguarda le strutture private di assistenza territoriale semi residenziale e riabilitativa.
Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, in Parlamento ha di recente dichiarato il proprio impegno nella difesa della sanità pubblica “senza perderne le caratteristiche di universalità e di attenzione alle persone che hanno meno mezzi”. Non governare questa tendenza avvierebbe il servizio sanitario nazionale verso una privatizzazione non coerente con le necessità pubbliche, votata solo al mercato, destinata ad acuire disuguaglianze sociali e territoriali.
Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri così sintetizza: “Qual è il problema di un sistema sanitario basato sul privato? Che risponde alle esigenze degli azionisti più che a quelle dei malati. Un sistema pubblico lavora per ridurre le prestazioni, attraverso la prevenzione. Un sistema privato lavora per aumentarle e aumentare così i fatturati.”

(Severino Filippi)