
Tra il 2013 e il 2022 sono emigrati 352 mila italiani tra i 25 e i 34 anni, oltre un terzo laureati, che nella maggioranza dei casi non sono rientrati. È il ritratto di una generazione che gode di scarsa considerazione e di un Paese che non è più attrattivo
Ha suscitato molto interesse di cronaca la lettera che un ricercatore e padre di uno dei giovani neolaureati italiani, Fabio Di Felice, ha indirizzato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Una missiva dal tono accorato, nella quale, da padre, racconta l’esperienza personale di suo figlio Matteo, che si è trasferito in Danimarca e avendo concluso gli studi si trova ora a valutare proposte lavorative prestigiose e adeguatamente remunerate.
Dalle sue parole, che confrontano il contesto danese con il nostro, scaturisce tutta l’amarezza per un Paese incapace di trattenere i suoi giovani più brillanti. Il confronto si basa non soltanto su valutazioni di tipo salariale (in Danimarca annualmente si può godere di uno stipendio medio di 70mila euro lordi), ma anche sulle condizioni di vita (“un sistema di welfare che in Italia resta solo un’aspirazione”) e di carriera professionale.
Una realtà, quella italiana, che invece di valorizzare i neolaureati con prospettive di lavoro allettanti, spesso li costringe, per poter vedere riconosciuti i propri meriti, a cercare una realizzazione professionale all’estero.
Con la conseguenza più immediata di un progressivo impoverimento del già carente sistema economico, che vede giovani talenti su cui l’Italia ha investito andare ad arricchire altri contesti nazionali.
Anche l’ambito della ricerca gode in Italia di scarsa considerazione e di pochi investimenti: questo è evidente se si guarda all’inferiorità degli stipendi dei ricercatori rispetto ai colleghi esteri.
Tra gli effetti che questo comporta vi è la carenza di innovazione, con un lavoro caratterizzato da una bassa produttività rispetto ai paesi europei.
L’appello a Mattarella, che suona come un grido d’allarme, non è solo quello di un padre, ma di un’intera generazione, che dalla politica si aspetta di più, si attende un impegno concreto affinché si inizino a creare le condizioni per far sì che i giovani possano restare o tornare, e che la stessa Italia possa divenire un polo per giovani stranieri.
Dovrebbero essere questi oggi i problemi più urgenti, poiché ne va del futuro stesso del Paese, della sua capacità di far fronte alle sfide della contemporaneità e della possibilità di essere attrattivo sulla scena internazionale.
L’efficace espressione “fuga dei cervelli” riassume bene un fenomeno che rientra in una situazione particolarmente problematica per l’Italia dal punto di vista demografico. Per approfondire le cause, gli aspetti e le conseguenze della questione il Parlamento ha deciso di istituire in questa legislatura una Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali dovuti alla transizione demografica.
La commissione ha interpellato anche il presidente dell’Istat, che durante un’audizione ha presentato un rapporto molto dettagliato.
Per quanto riguarda le migrazioni giovanili verso l’estero, emerge che nel lasso di tempo tra il 2013 e il 2022 sono aumentate di anno in anno. In totale sono emigrati in 352mila che possono considerarsi giovani, avendo un’età compresa tra i 25 e i 34 anni.
Tra questi oltre 132mila, ossia più di un terzo, si sono recati all’estero da laureati. La differenza tra gli espatri e i rimpatri dei giovani laureati è però sempre negativa, infatti oltre 87mila non sono rientrati.
Il fenomeno contribuisce anche al già grande divario tra le regioni centro-settentrionali e il Meridione, poiché le prime riescono a compensare le emigrazioni con i flussi migratori interni di persone provenienti dal Sud.
Le regioni meridionali invece hanno registrato, nel periodo di tempo considerato nel rapporto, una perdita di 168mila individui: un elemento che va ad aggiungersi alle difficoltà strutturali del Mezzogiorno e che riduce in modo impattante le possibilità di sviluppo.
Più in generale, è l’intera questione degli espatri a rappresentare una sfida: il saldo migratorio italiano, cioè il rapporto tra cittadini immigrati ed emigrati, è sempre negativo. Il rapporto ci dice che dal 2014 al 2024 il Paese ha perso 670mila persone che si sono trasferite all’estero.
Nel periodo di tempo considerato il trend è costantemente aumentato, subendo un rallentamento soltanto per le restrizioni imposte nel periodo pandemico. Lo scorso anno si è toccata una cifra record, con 156mila individui emigrati.
Tra le principali destinazioni vi sono i paesi europei, scelti da tre quarti dei cittadini espatriati (in particolare Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera e Spagna), e l’America meridionale.
Merita un’attenzione particolare il dato che riguarda l’emigrazione dei nuovi cittadini italiani, coloro che dopo aver acquisito la nostra cittadinanza si sono recati all’estero, spesso nell’UE.
In dieci anni la quota è passata dal 22% del 2014 al 31,4% del biennio 2022-2023: un dato emblematico di come il nostro Paese abbia un’attrattiva sempre minore. Unito agli altri già citati mostra un quadro complesso e incerto, al quale bisognerebbe rispondere con misure mirate: tutti, giovani e non, lo attendono.
Mattia Moscatelli