

Uno dei tratti di originalità del pontificato di Papa Giovanni Paolo II è stata la sua forza comunicativa. Se i papi precedenti avevano promosso la stampa e successivamente la radio, fu lui a interagire con la televisione, negli anni in cui la comunicazione globale stava prendendo forma.
Il papa polacco fu forse la prima figura sulla scena mondiale a comprendere i nuovi orizzonti della comunicazione e uno dei più efficaci interpreti dell’uso delle immagini. La conoscenza delle lingue, le qualità della sua voce, la significatività dei suoi gesti e delle sue espressioni e, negli ultimi anni, l’espressività del suo corpo malato, riuscirono a integrarsi con le pose e le ritualità proprie assunte dai vescovi di Roma nel corso dei secoli.
La dote di una comunicazione moderna e penetrante emerse sin alla sera della sua elezione, il 16 ottobre 1978, quando, affacciatosi alla loggia in San Pietro, prese la parola – primo papa della storia a farlo – per presentare la sua persona sconosciuta ai fedeli romani, quella di un papa «chiamato da un paese lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana».
Pochi giorni dopo, nella messa di inizio pontificato pronuncerà le parole con cui sfidava il mondo secolarizzato e l’ateismo di Stato dei paesi del socialismo reale al confronto con il trascendente: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”».

Papa Wojtyla mostrò una capacità senza eguali di calibrare gesti, parole e tempi della sua comunicazione infinite volte. Una di queste fu il 9 maggio 1993, ad Agrigento, nel pieno della stagione delle stragi di mafia. Prima della benedizione che concludeva la celebrazione eucaristica nella Valle dei Templi, improvvisò un duro monito contro le cosche siciliane che costrinse i giornalisti presenti a riaprire i collegamenti e riscrivere le loro corrispondenze già inviate alle redazioni.
«Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!» furono le parole finali di un discorso che chiarì inequivocabilmente l’incompatibilità tra fede e mafia. Dieci anni più tardi, un Papa oramai anziano e malato utilizzò la sua vecchiaia per lanciare, nel corso dell’angelus del 16 marzo, l’estremo monito per scongiurare l’avvio del conflitto voluto da angloamericano in Iraq.
«Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta – fu l’esortazione del Papa dalla finestra affacciata sulla piazza – e ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest´esperienza: “Mai più la guerra!”. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità».
La guerra cominciò pochi giorni dopo, l’anziano pontefice non fu ascoltato, ma assurse a figura guida della straordinaria mobilitazione internazionale contro all’intervento armato di Bush e Blair. Le sue parole la sua figura e il suo messaggio, per l’ultima volta, si imposero sulla scena internazionale.
(d.t.)