
Cinquecento anni fa, nel 1525, a Carrara si stava realizzando un’opera che ancora oggi desta meraviglia

Era il mese di ottobre del 1524 quando il Priore del Convento della SS. Annunziata di fronte al Consiglio di Pontremoli chiedeva che la Comunità partecipasse alle spese necessarie per “costruire un tempietto in marmo da alloggiarvi l’immagine della Vergine e l’altare dove si venerava”. Si tratta, come è facile capire, di quella “maestà” allora dipinta su un tabernacolo posto all’imbocco settentrionale del ponte sulla Magra per Saliceto e raffigurante l’Annunciazione.
Di fronte a questa immagine, nel dicembre 1470, la Madonna era apparsa alla giovane di Torrano intenta a pascolare le pecore. Quando il Priore si presentò davanti al Consiglio ormai la prima cappella voluta da Princivalle Villani era stata inglobata nella nuova chiesa appena consacrata dal Vescovo di Brugnato, ben più ampia e capace di accogliere le moltitudini di pellegrini e devoti che si inginocchiavano di fronte all’immagine miracolosa. Il Consiglio cittadino accettò la richiesta e pochi mesi dopo, nel corso del 1525, versò una prima somma di 250 fiorini alla quale seguì una seconda di altri 120 fiorini.
Una storia che in queste settimane taglia il traguardo dei 500 anni e resiste al tempo. Cinque secoli fa, mentre gli Agostiniani raccoglievano il denaro necessario a pagare il marmo e gli artisti, nei laboratori di Carrara venivano scolpiti quei blocchi, bianchi e preziosi, che, una volta terminati e composti, avrebbero formato un’opera che ancora oggi desta ammirazione. Ci volle tutto il 1525 e parte dell’anno successivo per portarla a termine, ma nel giugno 1526 le diverse parti del tempietto erano pronte.
Servirono poi tre mesi per preparare ed effettuare il trasporto e anche quella fu un’impresa: mai una così quande quantità di marmo così finemente scolpito aveva risalito le valli da Carrara fino alle porte di Pontremoli! E all’interno della chiesa furono necessari altri lunghi mesi per comporre il complesso mosaico dei tanti pezzi, ma alla fine, nel 1527, l’opera era conclusa e al centro della grande navata si poteva ammirare quello che è senza alcun dubbio un vero e proprio capolavoro del Rinascimento.
Il tempietto ottagonale che conserva ancora oggi l’affresco del XV secolo, nascosto dall’altare e dall’apparato che riveste la parete di fondo, è caratterizzato da un alto basamento, ornato da tondi in marmo, dal quale si alzano le otto semicolonne con capitelli oranti da foglie d’acanto sui quali poggia l’architrave che sostiene la cupola dipinta a scaglie bianche, rosse e blu.
Sulla trabeazione è l’iscrizione “Ave Gratia Plena Dominus Tecum…” che ricorda il saluto dell’Arcangelo alla Vergine Maria. Otto statue a tutto tondo sono collocate sulla trabeazione in corrispondenza delle colonne. Le tre arcate del tempietto rivolte verso l’abside della chiesa sono chiuse da eleganti grate in ferro che risalgono al 1537; in quella centrale si apre l’accesso, sormontato da una lunetta che raffigura l’Annunciazione. Nel corso dei secoli l’interno è stato più volte modificato: nel 1656 Francesco Battaglia (l’autore dei mobili della vicina sacrestia) realizzò una cornice da porre sull’altare a copertura dell’affresco con due aperture per osservare i volti della Vergine e dell’Angelo.
Nel 1722 frate Francesco Ricci fece costruire un nuovo altare in marmi policromi, lo stesso che ancora vediamo, ornato dalle statue delle sante Lucia e Agata. Al centro è la grande tela della Adorazione dei Magi, opera del 1558 di Luca Cambiaso, al quale sono stati attribuiti anche i due affreschi nelle specchiature che affiancano il Sant’Agostino.
Una riorganizzazione della parete che, di fatto, ha impedito a lungo la visione dell’immagine della miracolosa apparizione e che solo gli interventi del secolo scorso hanno permesso, almeno parzialmente, di restituire alla visione dei fedeli.
Fino ad oggi, nonostante le molte ricerche, non sono stati trovati documenti che possano attestare con certezza chi sia l’autore del tempietto. Un lungo dibattito, soprattutto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ha coinvolto storici, storici dell’arte e semplici appassionati.
Nonostante sopravviva ancora nel sentire popolare la possibilità che ci sia la mano di Jacopo Sansovino questa ipotesi è da tempo stata esclusa, sia per motivi di carattere storico che per stile artistico. Era stata avanzata nel 1760 dal pontremolese Pier Francesco Bertolini e ripresa nel 1895 dal parroco Giovan Battista Cavalieri, mentre tre anni dopo Pietro Bologna ipotizza che il Sansovino possa essersi occupato solo del disegno preliminare al progetto.

Il grande storico Giovanni Sforza nel 1904 propende invece per la mano del lucchese Niccolò Civitali, mentre l’ultima attribuzione al Sansovino risale ormai al 1913. Solo in anni più recenti gli storici dell’arte sono tornati ad interessarsi dell’opera;. Carlo Del Bravo nel 1978 ha individuato in Niccolò Tribolo (allievo del Sansovino) l’autore di una delle otto statue del coronamento della cupola.
Nel 1992 è Luciano Migliaccio ad individuare nella “bottega” carrarese di Pietro Aprile il luogo dove il tempietto è stato realizzato e negli stessi anni la storica dell’arte Caterina Rapetti ha ripreso e sviluppato questa ipotesi studiando anche la bella statua che raffigura Sant’Agostino posta nella nicchia di marmo rosso di Castelpoggio che si apre nel lato che guarda la controfacciata della chiesa. Il tempietto, dunque, sarebbe il risultato del lavoro di più mani, in uno dei laboratori artistici più in voga nel terzo decennio del Cinquecento: quello di Pietro Aprile da Carona.
Si tratta di un “maestro” di grande rilievo e molto affermato, dalla cui “bottega” sono uscite opere che molto hanno in comune con il tempietto della SS. Annunziata. Inoltre è conosciuto il contratto con il quale proprio nel 1525 a Pietro Aprile viene affidato l’incarico di realizzare un’opera a Pontremoli. Il contratto non precisa di quale opera si tratti, ma sono davvero molti e inequivocabili gli indizi che sia proprio il tempietto per accogliere l’affresco dell’Annunciazione, non ultimo il fatto che un’opera così complessa sia stata realizzata in pochi mesi, segno che ad essa lavorarono più artisti all’interno di una bottega molto qualificata.
Paolo Bissoli