Tra desiderio  di democrazia  e nostalgia  della Lunigiana

Ottant’anni fa, il 21 dicembre 1944, in provincia di Torino, Luigi Campolonghi moriva in una tappa del viaggio di rientro dall’esilio in Francia. Nato a Pontremoli nel 1876, dovette espatriare prima sul finire dell’Ottocento, poi durante il ventennio fascista, fu politico di primo piano nel panorama europeo. Non dimenticò mail le sue origini e a Pontremoli dedicò uno dei suoi numerosi libri. “Una cittadina italiana fra l’80 e il ‘900” è opera che ben testimonia il suo desiderio di tornare. Non ci sarebbe riuscito.

Luigi Campolonghi (1876 – 1945)

Ripetere che la Lunigiana sia terra di confine è forse ridondante soprattutto per i lettori de «Il Corriere Apuano», residenti o in qualche modo legati a questa terra ricca di storia che sta vivendo uno dei suoi periodi più bui, a causa del vorace spopolamento. Invece, la consapevolezza del fatto che sui nostri monti sia passata la storia d’Italia e d’Europa è, purtroppo, ancora poco radicata nei lunigianesi (forse anche a motivo di programmi scolastici che guardano troppo poco, o niente, alla cultura e alla storia locale).
Tornare a riflettere, su queste colonne, sulla figura di Luigi Campolonghi è in qualche modo riappropriarsi della figura di un illustre lunigianese che non si è piegato ai dettami di regime, qualunque fosse, per perseguire il suo ideale democratico.
Sicuramente Campolonghi fu uomo di parte: nato a Pontremoli nel 1876, si formò presso il Collegio Maria Luigia di Parma, dove scoprì il fascino delle idee di Mazzini e avviò i primi contatti con il socialismo, cosa che gli costò l’espulsione dal collegio.
Il giovane Luigi non era da etichettare come marxista: il suo socialismo, infatti, è da considerarsi una risposta contro l’ingiustizia sociale, uno slancio di solidarietà umana, secondo Ernesto Galli della Loggia.

La lapide commemorativa in via Ricci Armani a Pontremoli

Campolonghi, a soli vent’anni, fondò la rivista La Terra (1896-1897) e diede avvio alle prime micro-organizzazioni socialiste lunigianesi. La sua avversione al colonialismo e il suo spirito combattivo e contestatore gli costarono i primi problemi con la giustizia.
Nel 1898 emigrò in Marsiglia, città in cui risiedevano molti italiani in cerca di lavoro e condizioni di vita migliori rispetto a quelle della propria patria, oppressa dai debiti, da governi troppo deboli, da un’identità mancante e da una monarchia che non sapeva fare da collante alle diverse anime di un paese, unito sulla carta, ma ancora molto diviso.
A causa della sua militanza socialista – Campolonghi è corrispondente dell’«Avanti» – il governo francese lo espelle e il giornalista lunigianese è costretto a riparare a Barcellona: inizia così una peregrinazione che lo porterà a rientrare in Italia, tra Savona e Firenze, ma a risiedere spesso all’estero, coltivando la sua passione radical-socialista e continuando a svolgere la professione di giornalista, stando sul campo.
Fu così che, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si trovò a raccontare dal Belgio l’invasione tedesca. Interventista convinto, oltre alla sua professione, durante la guerra svolse importati missioni di collegamento tra l’Italia e il governo francese, propagandando favorevolmente l’amicizia italo-francese.

La prima edizione del libro di Luigi Campolonghi dedicato a Pontremoli

Deluso dai trattati di pace, Campolonghi si avvicina a Gabriele d’Annunzio, ma presto si dimette e si discosta dal «Secolo», su cui scriveva, per aderire dalla Francia a una politica profondamente antifascista, organizzando varie leghe a tutela dei diritti dei lavoratori. Al giornalista e attivista lunigianese si deve la fondazione di una Concentrazione antifascista, volta alla riunione delle forze italiane d’oltralpe opposte al regime, di cui, però, non facevano parte gli esponenti cattolici e comunisti: questa concentrazione, infatti, si ispirava agli ideali socialisti e massonici (fin dai primi anni del Novecento Campolonghi prese parte alla massoneria, conservando sempre una certa indipendenza).
Durante il ventennio fascista svolse un’importante azione organizzativa delle forze opposte al regime sparse non solo in Francia, ma in tutta Europa. Rientrato in Italia nel 1943, morì a Settimo Vittone il 21 dicembre 1944, non potendo rientrare a Pontremoli. Campolonghi era sicuramente un uomo di parte; negarlo sarebbe sbagliato, poiché spese tutta la vita per i suoi ideali, ma proprio la sua identità di esule dovrebbe farci riflettere: come tanti lunigianesi di quell’epoca (ma anche di oggi), Campolonghi visse lontano dalla sua terra natia, ma desideroso di tornarvici, esprimendo forte nostalgia per la Pontremoli di fine Ottocento che lasciò poco più che ventenne.
La sua opera di riunione di italiani all’estero, sotto la stella del socialismo e dell’antifascismo, è forse una delle principali note che accompagnano la vita di chiunque vive lontano da casa: cercare di condividere la strada con altri, costretti a emigrare, che guardano la propria città lontana con forte desiderio di tornare. Campolonghi, che tanto ha operato in campo giornalistico e politico, non recise mai il suo legame con Pontremoli, con la cui terra era “impastato” e che sentiva sempre come un desiderio mai appagato.
Ecco, sebbene non sia conosciuto come Carlo VIII o Federico II di Svevia, la terra lunigianese dovrebbe riscoprire figure come Campolonghi, che, sebbene abbiano calcato strade tanto lontane dal borgo di Pontremoli, anelava a tornare, come tutti coloro che, vedendo il sole tramontare lontano da casa, si intenerisco e, forse, versano una lacrima di nostalgia.

Riccardo Bassi