Tra butteri e briganti, tra violenze (tante) e speranza (davvero poca) quella che il giovane toscano Daniele Pasquini, classe 1988, descrive nel suo ultimo lavoro letterario (“Selvaggio Ovest”, NNEditore, finalista al Premio Bancarella 2024) è una Maremma lontana dall’immagine di ambìta destinazione turistica di oggi.
Qualche lettore potrà azzardarsi a dire che è una Maremma ben più autentica, almeno richiamando le descrizioni di un territorio dove la vita era durissima, a tratti impossibile. Dopo il rock di “Io volevo Ringo Starr” (2009) e l’avventura oceanica de “Un naufragio” (2022) questa volta Pasquini ambienta il romanzo in una delle parti più remote della Toscana della fine dell’Ottocento, quella campagna grossetana, ovest profondo, territorio così apparentemente immutabile e impermeabile ai tempi che cambiano, dove le consuetudini diventano spesso regola e i ruoli nella società sono cristallizzati.
Un po’ storico, un po’ fiction, il racconto si sviluppa veloce, districandosi su più piani, seguendo le vicende, non di rado crude, di numerosi protagonisti. Quello principale è senza alcun dubbio il buttero “Penna”, forse il migliore e il più apprezzato della zona, che vede crescere a sua immagine Donato, un giovane dalle abilità sorprendenti, il figlio adottato in circostanze quasi obbligate dagli eventi.
Ma ci sono anche “Occhionero”, brigante spietato, che combatte i ricchi ma se la prende anche con i poveri, fiero avversario dell’ordine costituito, da sempre braccato o incarcerato e che si circonda di uomini violenti e senza scrupoli. Ne è vittima la giovane Gilda, figlia di un carbonaio, trasformata nell’oggetto delle violenze dei banditi eppure dallo sguardo pieno di speranza.
E ci sono i Carabinieri del Regno d’Italia, giovane Stato unitario, avvertito quale entità così lontana che sembra riguardare poco il “qui e ora” in una Maremma dove non sembra esserci rimedio né alla malaria né a schemi vecchi di secoli.
Nel romanzo ha un ruolo significativo anche niente meno che Buffalo Bill, convinto a sbarcare in Europa e impegnato a portare anche in Italia il suo “Wild West Show”, un po’ ricostruzione storica e molto spettacolo da circo.
Il lettore trova anche, sullo sfondo, la mitica sfida che aveva visto prevalere i butteri maremmani sui cow boy arrivati dall’America: una scommessa persa e, soprattutto, uno smacco che il vecchio cacciatore di bisonti proprio non riesce a digerire. Senza dimenticare i veri pellerossa al suo seguito, che si vedono affidare il compito che in tanti stereotipi da film americani abbiamo visto loro svolgere al meglio: rubare cavalli.
Tanti personaggi e tanti spunti dunque in questo racconto che si svolge nelle oltre trecento pagine di un romanzo che merita di essere letto, dal ritmo che si fa via via più veloce e incalzante fino a diventare quasi vorticoso nel susseguirsi degli eventi che tendono tutti a quella sorta di appuntamento conclusivo, non concordato ma inevitabile, nel quale tutto si compie.
Perché, alla fine, il protagonista vero sembra proprio essere il “Selvaggio West” trasportato in uno degli Ovest d’Italia, una terra da conquistare a prezzo di sacrifici oggi quasi inimmaginabili, dove la vita scorreva davvero incerta e amara.
Chi conosce quegli stessi luoghi nella Maremma di oggi potrà forse sorridere, incredulo che quella sorta di grande e moderno “luna park” estivo nel quale ci si trova immersi sia davvero invenzione recente. Eppure è sufficiente addentrarsi nell’interno, allontanarsi dalla costa fattasi ricca e affollata per recupere almeno in piccola parte quelle sensazioni di territorio antico e, appunto, selvaggio dove tutto poteva accadere, dove tutto aveva un prezzo, vita compresa.
Paolo Bissoli