Un’Europa votata al riarmo, rigida sull’immigrazione,  austera in economia

L’Italia esce sconfitta ed isolata dalla partita sulle nomine dei vertici dell’UE.
Per l’Italia e la premier una debacle netta e suggellata dall’ordine sparso della maggioranza italiana. Un epilogo che avrà un forte impatto anche nella politica interna italiana

Da sinistra, in alto e in senso orario: l’estone Kaja Kallas (neo Alto rappresentante per la politica estera);
Ursula Von der Layen (confermata alla guida della Commissione Europea); il portoghese Antonio Costa (alla presidenza del Consiglio Europeo); Roberta Metsola (confermata presidente del Parlamento Europeo) – Foto Unione Europea

Sono davvero altalenanti e imprevedibili le sorti dei leader politici, in questi anni Venti in cui la politica internazionale sta assumendo un ruolo che sovrasta le vicende interne. Ne sa qualcosa Giorgia Meloni che, a dieci giorni dal G7 in cui tanti osservatori hanno visto in lei la leader solida attorniata da capi di Stato e di governo politicamente in difficoltà, sulle nuove nomine europee è stata clamorosamente marginalizzata. Il Consiglio europeo – l’assemblea dei capi di Stato e di governo della UE – ha ratificato i ruoli di vertice dell’Unione per il prossimo quinquennio individuati dai negoziatori inviati dalle famiglie politiche che assieme sono in grado di formare una maggioranza politica all’Europarlamento: popolari, socialisti democratici, liberali. Non solo le destre non hanno negoziato, ma Giorgia Meloni è stata tenuta esplicitamente fuori da qualsiasi ipotesi di ingresso in maggioranza e di influenza sulle nomine.
A pesare sulla scelta sono stati più fattori: l’imminenza delle elezioni legislative in Francia, in cui l’estrema destra di Le Pen e Bardella ha vinto con il 35% (ma i giochi per la governabilità del paese si chiuderanno il 7 luglio con il secondo turno), lo spaccato non certo edificante emerso dalle inchieste sul movimento giovanile di Fratelli d’Italia, ma anche la condizione posta dai socialisti e democratici per una riconferma di Von der Layen, che di Meloni era il principale sponsor da più di un anno.
Per la presidente della Commissione i veti che si è vista porre su Meloni sono stati la condizione per la riconferma, sebbene il voto dei 24 deputati di FdI al Parlamento europeo erano quelli su cui la leader del PPE contava per mettere al sicuro la fiducia dai possibili franchi tiratori – la maggioranza a tre del Parlamento europeo conta 399 voti, con una soglia per la fiducia di 361.
A pesare sono stati anche gli errori di Meloni, convinta di poter giocare una partita vincente su due tavoli: quello di capo del governo, in cui non è andata oltre al portare a casa una futura vicepresidenza della Commissione, ruolo comunque spettante all’Italia per rotazione, e quello di leader dei Conservatori, scontando il fuoco di fila scattato contro le destre in vista delle elezioni in Francia e una clamorosa scissione interna – se ne sono andati cechi e sloveni ed era sull’orlo di farlo il Pis di Orban.

La sede della Commissione dell’Unione Europea a Bruxelles

Le relazioni con Meloni non sono andate oltre il rispetto dovuto al leader di un Paese che rappresenta comunque la terza economia dell’Unione, ma la sconfitta è stata netta e sugellata dall’ordine sparso della maggioranza italiana: la premier si è astenuta sulla nomina di Von der Layen al Consiglio europeo.
In Parlamento a Bruxelles Forza Italia voterà a favore della nuova Commissione, la Lega voterà contro assieme ai lepenisti e Fratelli d’Italia andrà al negoziato con la politica tedesca da qui al 18 luglio. In quel contesto Meloni potrebbe pretendere la famosa nomina di “un commissario economico di peso”, sempre che la coalizione non si irrobustisca anche senza FdI e sempre che davvero la destra italiana individui nella sua fragilissima classe dirigente una personalità in grado di reggere il ruolo (si fa il nome di Roberto Fitto, da molti però giudicato non adeguato ruolo internazionale).

L’estone Kaja Kallas (foto Unione Europea)

Insomma, la partita europea avrà ripercussioni anche a livello interno, tra nuovi equilibri post-elezioni, ministri con il fiato corto, una legge di bilancio da costruire trovando subito 32 miliardi e negoziando il rientro da una procedura d’infrazione appena aperta. Sul piano internazionale, i nomi dei nuovi vertici europei non lasciano spazio a ottimismo sul futuro e sul ruolo dell’Europa in questa complessa fase storica.
Roberta Metsola, maltese, sarà riconfermata a capo dell’Europarlamento. Ursula von der Layen sarà ancora presidente della Commissione. Entrambe del PPE, la prima con forti venature nazionaliste, sono entrambe fautrici di una politica atlantista che non prevede alcuna iniziativa autonoma dalla Nato e dagli Stati Uniti, nemmeno nel conflitto ucraino-russo che si combatte sul confine dell’Unione.

Il portoghese Antonio Costa (foto Unione Europea)

A loro si affiancherà Kaja Kallas, nuova Alto Rappresentante per la politica estera dell’Ue. Prima ministra estone, della famiglia politica dei liberali, Kallas, figlia e nipote di oppositori ai regimi comunisti sovietici, si è spinta a sostenere la necessità di uno smembramento della Russia per ridurne la potenza. La sua nomina è un chiaro messaggio di indisponibilità della UE a qualsiasi trattativa di pace con Putin.
I socialisti democratici hanno avallato queste nomine ottenendo il più debole dei “top jobs”, la presidenza del Consiglio Europeo riservata all’ex premier portoghese Antonio Costa. Segno di un allineamento del centrosinistra europeo all’idea di un’Europa orientata convintamente al riarmo, a chiusure ancora più prive di visione e di umanità nei confronti dell’immigrazione, al primato del mercato e della finanza sulle politiche sociali, a rivedere al ribasso le scelte ambientali.

(Davide Tondani)