Grandi poeti hanno visto e amato l’Italia che ancora non c’era

Stando ai più grandi, Dante, Petrarca, Machiavelli, Foscolo, Leopardi, Manzoni hanno fatto nascere l’Italia, a cominciare dalla lingua che è una delle entità fondative del concetto di nazione. Dante, uomo di parte, guelfo ma diviso nella fazione dei Bianchi contro i Neri, nel canto VI delle tre cantiche della Commedia parla specificamente di politica: nel VI dell’Inferno vede Firenze divisa fino allo scontro armato provocato da “superbia, invidia e avarizia”.
L’Italia viene chiamata per nome due volte nel VI del Purgatorio, addolorata come una vedova perché è il “giardino dell’Impero” ma è abbandonata dal suo “sposo”, resa serva, luogo di corruzione, senza pace, ha buone leggi ma disattese, le città sono piene di tiranni, e basta che uno si butti in politica per presumere di essere uno statista. L’Italia e tutto il mondo per Dante saranno in pace se, oltre la veduta corta dell’uomo e della cronaca, si lavorerà per realizzare un ordine universale stabilito da Dio con l’impero, di cui Giustiniano traccia la storia nel VI del Paradiso.

Francesco Petrarca (1304 – 1374)

Italia mia invoca Petrarca nella commossa canzone all’Italia, amata e percepita come “creatura” prediletta da Dio, è la più bella parte del mondo. Italia è la “patria” nella più vera definizione contro l’uso strumentale di tanta politica. Patria è la terra che abbiamo toccata per prima noi e i nostri genitori, a essa ci affidiamo. La canzone CXXVIII quasi tutti gli studiosi affermano che fu composta nell’inverno del 1344-1345 quando Petrarca era a Selvapiana nel momento in cui Parma fu venduta a Obizzo d’Este e ne venne guerra contro altri signori: l’Italia ancora una volta riceve piaghe mortali nel suo bel corpo, per lievi motivi si fanno guerre cruente con impiego anche di mercenari che per denaro e con crudele rabbia vengono a “inondar i nostri dolci campi”, le belle contrade.
L’amore per l’Italia si traduce in una invocazione ai signori perché impieghino il tempo brevissimo della vita in atti degni di mano o di ingegno, si rivolge alla canzone stessa perché diffonda un grido che invoca “pace, pace, pace” , bene supremo che le darà sicurezza “fra magnanimi pochi”.
L’invocazione è ripresa da Niccolò Machiavelli negli anni terribili in cui i piccoli signori dei principati per egoismo e veduta corta hanno portato l’Italia sotto il dominio straniero, con conseguenze gravi e non ancora oggi superate.

Ritratto di Giovanni dalle Bande Nere (di Francesco Salviati)

Tre re francesi (Carlo VIII, Luigi XII, Francesco I cercano di conquistare, di rubare l’Italia, ma alla fine più forte è Carlo V d’Asburgo che nel 1530 viene incoronato re d’Italia e i principi, compreso il papa, diventano suoi cortigiani. Machiavelli è l’ultimo, o piuttosto, l’unico intellettuale che si appella perché si impedisca “Il barbaro dominio” e qualcuno prenda la difesa dell’Italia; chiude il trattato politico Il principe citando versi della canzone all’Italia per esprimere la speranza che virtù contro a furore / prenderà l’arme e la vittoria è possibile perché negli italiani era ancora vivo l’antico loro valore.
Solo Giovanni dalle Bande Nere accolse l’appello ma morì ferito nella guerra di cui complici coi lanzi di Carlo V furono gli Este e i Gonzaga. L’Italia non c’è ma è viva e chiara dentro la poesia del Foscolo, risorgerà prendendo auspicio dai grandi dell’arte e della cultura italiana.
Leopardi in due canzoni porta ad alto effetto la tradizione storica e letteraria dell’Italia e Manzoni nell’Adelchi esorta gli italiani a conquistarsi loro stessi la libertà, non potranno donarla eserciti stranieri se rimarranno un volgo disperso che nome non ha. Una conclusione: i poeti si studiano (si studiavano?) a scuola per il loro altissimo contributo alla nostra formazione come persone e come cittadini.

MLS