Don Giovanni con noi per smuovere l’ambiente e per attrarre altri giovani

Tra i numerosi “reperti” usciti dagli archivi di Antonio Ricci, uno mi è caro per i ricordi che sollecita: si tratta di un registro dei verbali delle riunioni del centro G.I.A.C. (gioventù italiana di azione cattolica) della diocesi di Pontremoli.
Probabilmente è stato uno dei tentativi di ridar vita al centro GIAC, infatti nella prima relazione non si fa riferimento ad attività precedenti. Per alcuni periodi si tratta di riunioni settimanali con salti più o meno lunghi.
I partecipanti hanno fatto proposte per smuovere l’ambiente e per attrarre altri giovani all’Azione Cattolica ma quasi mai hanno avuto l’approvazione dell’assistente o per mancanza di fondi o perché le attività proposte non erano gradite alla Chiesa.
Il messaggio che si coglie dalla lettura di quelle relazioni è condensabile in tre vocaboli: preghiera, obbedienza e sacrificio, tutto in perfetto spirito preconciliare. Si comprende come noi ragazzi aspirassimo ad un nuovo assistente.
Ricordo i viaggi in Episcopio a chiedere questo al vescovo Fenocchio il quale immancabilmente ci rispondeva che avrebbe provveduto dopo aver cercato di comprendere l’ispirazione dello Spirito Santo.
Alla fine, quando avevamo ormai persa ogni speranza, è uscito il nome di don Giovanni Barbieri. A quel tempo aveva tre caratteristiche fondamentali, oltre alla sua fede fresca e profonda. Era, prima di tutto, giovane ma anche vicerettore del Seminario Vescovile e professore di religione.
Ha subito ottenuto per la GIAC due stanze, “la sede”, di cui una molto grande, nei locali del seminario. Non so se vi è stato un automatismo o se è stato grazie al suo intervento presso gli altri professori di religione, ma il numero di partecipanti alle attività è rapidamente aumentato, con il solo rimpianto della quasi totale perdita dei componenti del primo gruppo.
Intanto il tempo e, nel tempo, la storia della Chiesa faceva passi da gigante. Il Concilio apriva ad una nuova mentalità.
Anche in sede era cambiato il modo di fare attività, non più riunioni settimanali ma incontri giornalieri, era il nostro aperitivo prima di andare a cena. Le idee venivano subito condivise, caldeggiate o bocciate, riproposte discusse e accantonate.
Don Giovanni ci aveva fatto capire che il messaggio del Concilio ci invitava a fare un qualcosa che desse senso alla nostra fede, che avesse un messaggio positivo e dovevamo trovargli un nome. Nel frattempo ci godevamo i campeggi a Valvenera, una o due gite l’anno e intrattenimenti per carnevale e capodanno.
Poi sono arrivati sia il nome – bocciato perché troppo enigmatico “Ora X”- “Presenza Cristiana” sia l’attività che consisteva nell’andare in tutte parrocchie della diocesi a raccogliere ciò che non veniva più usato. Diviso quanto raccolto per categorie merceologiche era venduto a grossisti ed il ricavato inviato in Africa alla missione dei Cappuccini Emiliani.
Alla fine del 1970 è stata organizzata una marcia contro la fame. Ogni marciatore si cercava dei finanziatori ed, in base ai chilometri percorsi, riceveva un “compenso” trasferito agli organizzatori e da questi ai missionari di Botangafo.
Alla diocesi serviva un parroco in gamba a Soliera e vi è stato mandato don Giovanni, pur continuando a fare l’assistente GIAC. L’abbiamo raggiunto con tutti i mezzi. I ragazzi della parrocchia ci hanno accolti con amicizia.
Anche la famiglia di don Giovanni si è adeguata alla nostra presenza. Ricordo di aver dormito spesso nella camera della canonica detta Siberia. Bastava dormirci una notte d’inverno per comprenderne il perché.

Pierangelo Sordi