Una comunità ecclesiale che torni ad essere compagna di strada dei giovani

Le opinioni di chi nella nostra Diocesi cammina a fianco dei ragazzi

La ricerca realizzata dall’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sui giovani cattolici interroga la Chiesa ad ogni livello, anche nella nostra realtà diocesana.
I commenti di tre persone della nostra comunità ecclesiale che, con ruoli diversi, spendono il loro tempo a contatto con le nuove generazioni.
Nelle loro considerazioni emerge un tratto comune: la comunità ecclesiale ha trascurato le istanze i bisogni di giovani generazioni che comunque non rifiutano a priori un cammino di fede, ma che richiedono un risposte autentiche alle loro domande.

 

Don Alessio Bertocchi – Il giovane Sacerdote

Don Alessio Bertocchi è l’ultimo sacerdote ordinato in Diocesi e pochi mesi dopo l’ordinazione ha assunto l’incarico di responsabile diocesano della Pastorale giovanile e vocazionale. Per don Alessio il tempo favorevole per riscoprire il rapporto tra giovani e fede è adesso: «i giovani sono insoddisfatti e delusi dalla Chiesa e dalla comunità ecclesiale, ma non siamo di fronte ad una generazione di increduli o non praticanti, come molti pensano».
E quali sono i motivi di questa insoddisfazione?
Per il giovane prete «i ragazzi cercano esperienze di spiritualità calda e fraterna, esperienze di fede autentiche, calate nella quotidianità. Ne abbiamo avuto la dimostrazione con il successo della preghiera del venerdì mattina, prima di andare a scuola, che abbiamo proposto a Massa nella parrocchia di San Pio X. Il punto è che dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto ciò che non evangelizza più, come chiede il Papa”.
“I giovani cercano esperienze di fede concrete e autentiche ma spesso trovano nella Chiesa parole poco comprensibili e discorsi astratti. Proseguendo così – prosegue don Alessio – abdichiamo al ruolo di guida e di compagni di strada dei giovani, costruendo progetti sopra di loro anziché intorno a loro ed evadendo le loro domande, che possono trovare risposta solo in una comunità cristiana capace di testimoniare una fede adulta».

 

Rina Domenichelli – L’insegnante di Religione

Rina Domenichelli è insegnante di Religione al Pacinotti-Belmesseri, una delle due scuole superiori della Lunigiana, dove incontra i ragazzi in uno dei luoghi più importanti della loro crescita.
«Per la mia esperienza, i ragazzi lunigianesi hanno una difficoltà in più nell’avvicinarsi alla fede: in molti dei nostri paesi manca un’attenzione ai giovani, a partire dalle strutture: anche all’interno delle parrocchie, tranne alcune eccezioni, mancano spesso luoghi dove possano incontrarsi». Un’affermazione suffragata anche da un’indagine che due anni fa gli insegnanti di Religione fecero tra gli alunni, in occasione della prima fase del cammino sinodale: «i ragazzi delle nostre classi evidenziarono come la Chiesa trascurasse i ragazzi, che lamentavano l’assenza di oratori, luoghi di ritrovo, nuove iniziative di aggregazione».
Domenichelli sottolinea anche l’assenza in molte aree della Lunigiana di movimenti ecclesiali «capaci di offrire ai giovani una spiritualità diversa da quella proposta dal catechismo nelle parrocchie. La loro assenza sul territorio è una forma di povertà, perché quella dei movimenti è una realtà coinvolgente sia dal punto di vista spirituale che delle esperienze missionarie e della vita di gruppo».
C’è poi un tema di comunicazione: «occorre trovare un linguaggio per confrontarsi con i giovani e spesso la Chiesa non è preparata a farlo».

 

Pietro Giorcelli – Il capo Scout Pietro

Giorcelli è capo Scout nel gruppo Pontremoli 2 e nel corso degli studi universitari è stato presidente nazionale degli universitari cattolici della Fuci, due osservatori importanti per osservare e vivere il rapporto tra giovani e fede. Sgombera il campo dall’idea che occorra pianificare nuove strategie.
«L’esperienza di fede non cambia, è sempre ricerca di splendida umanità, di bello nella vita delle persone, di genuina autenticità», racconta. «È un percorso della coscienza, anche logorante, che può lasciare grandi segni nella vita di ognuno e che si libera all’incontro dell’Amore Ultimo, non vi sono strategie diverse da sperimentare», argomenta Pietro, che mette in evidenza come «adulti irresponsabili che hanno perso il senso della comunità come luogo principale da custodire e della condivisione come responsabilità» abbiano cessato di preparare il terreno buono per le nuove generazioni.
In sintesi per Giorcelli «abbiamo lasciato i giovani da soli».
Come ripartire dunque? La risposta che Pietro offre è imperniata su tre parole: comunità, condivisione, testimonianza: «valorizziamo le comunità come spazio genuinamente umano, la condivisione come metodo e la testimonianza come stile, facendo spazio alla vita vera delle persone: tutto il resto verrà, e nulla andrà buttato».