
Viaggio nella storia di uno centri urbani più significativi della Val di Magra. Dal Medioevo al XIX secolo, lo sviluppo di una realtà strategica, prima dal punto di vista militare, poi commerciale

Quando Sarzana, intorno ai secoli X-XI, uscì dalle ombre dell’Alto Medioevo con il diploma di Ottone I° del 963, riferito tuttavia al colle di Sarzanello che la sovrasta, iniziò quel vivace fermento cittadino, di cui danno conto i documenti del Codice Pelavicino e che la condusse verso la forma urbana deducibile dagli Statuti del 1331.
La Sarzana dei quartieri, titolata ai Santi delle principali chiese cittadine, racchiusa dalle mura in una figura rettangolare, che verso nord diventa un acuminato sperone, avente come vertice la porta di Calleri o di Parma, e come base meridionale gli edifici dell’antica piazza della Calcandola, teatro di mercati e di dispute, liberata dalle acque del torrente prima del 1129.
Una linea che univa le porte di San Francesco, attuale torrione, e di San Domenico, all’inizio della via del mare, attuale via Gramsci. Questa parete di austeri fabbricati salda i quartieri sorti a ridosso del torrente con il borgo propriamente detto, e si contrappone all’allineamento rettilineo delle mura meridionali della città, tra il torrione Testaforte e la fortezza pisana di Firmafede, poi Cittadella medicea, dove si apriva la porta, detta di San Bartolomeo o Pisana ed oggi Romana.

Si genera una superficie trapezoidale di circa otto ettari, che diventano dieci con i quartieri della Calcandola, all’interno dei quali, come già osservava il Formentini, si svolse tutta la storia urbana di Sarzana. Due porte contrapposte, di Clausura e di Pozzolo dividevano il quartiere di Santa Maria, baricentro della figura, divenuta nel frattempo nuova cattedrale della diocesi di Luni, dagli altri quartieri di Sant’Andrea, San Domenico e San Francesco.
Lungo la via Francigena, poi via Grande, oggi via Mazzini, asse principale dell’impianto urbano medioevale, i pellegrini diretti a Roma alimentavano il fiorente mercato della Calcandola e le beccherie dell’Ymo burgo, la parte meridionale e più bassa, anche altimetricamente, del centro storico nei pressi della chiesa della Misericordia, attuale Museo diocesano, luogo di antiche sepolture.
La guerra per il dominio di Sarzana, chiave della Lunigiana meridionale, tra genovesi da una parte e fiorentini dall’altra (1487) chiuse entro la metà del Cinquecento, all’interno di una moderna cinta fortificata, poeticamente chiamata Cintura di San Giorgio, tutto il centro urbano rendendolo somigliante a quella figura antropomorfa tanto amata dai trattatisti rinascimentali.
Fu realizzata la modernissima Cittadella simbolo della potenza medicea (1494), e, di seguito, si costruirono i torrioni con il gigantesco Spontone, detto anche Mezzaluna, fuori della porta medievale di San Domenico, sostituita dalla porta della dogana, adornata di portico e colonne nel 1553, l’unica rimasta della cinta.
L’antica strada dei commerci ora entrava in città soltanto da quell’unico ingresso, controllato dai soldati, animando certamente l’antica piazza della Calcandola, dove nel 1554 fu completato anche il palazzo comunale e collocata la colonna celebrativa con San Giorgio, ma suscitando altri utilizzi per la parte meridionale dell’abitato.
Si formarono, in termini tecnici, un polo e un antipolo, e mentre il primo, per definizione, attira quelle attività che favoriscono scambi tra persone e non soltanto il commercio, il secondo tutte quelle, utili per la vita della comunità, ma, in qualche modo, separate da questa: l’ospedale di San Bartolomeo, ricollocato nella seconda metà del Cinquecento; il convento dei Domenicani, presso la cattedrale, entro il 1442, così come il convento delle Clarisse verso la fine del Quattrocento trasferito per fare posto alla la poderosa fortezza, edificio antipolare per eccellenza, trasformando radicalmente quella pisana di Firmefede della metà del Duecento.
Tutto il trecentesco quartiere medievale di Santa Maria, ossia la metà meridionale della superficie urbana, fu trasformata, ma nulla o molto poco sappiamo di come ciò avvenne ed a spese di chi questi complessi si insediarono, se c’erano delle abitazioni e di chi fossero. Per i Domenicani si parla di aree libere situate presso la cattedrale, per le Clarisse sappiamo di una casa Bernucci, situata presso il viridarium delle monache, e di una casa Mascardi con giardino, posta davanti alla cattedrale, tradizionalmente ritenuta parte del complesso monastico.
La città “murata d’intorno e, fornita di artiglierie, guardata dai Tedeschi con gran gelosia” recita una descrizione seicentesca della Lunigiana, rimase così fino al tempo della guerra di Successione Austriaca 1740-48, quando Matteo Vinzoni, in una lettera indirizzata al commissario di Sarzana Giulio Spinola il 3 novembre 1755, riferiva che essendosi appreso assai tosto, che non era possibile diffenderla…, fu disarmata, e spogliata, assieme alla Cittadella, di tutto quanto il Canone, ed ogni attrezzo militare.
Ciò creò dei presupposti ai quali si aggiunsero le soppressioni napoleoniche che condussero, circa mezzo secolo dopo, all’alienazione delle mura a privati, alla riapertura della porta in borgo nel 1783, affidata all’impresa del marchese Agostino Callani.
Questo fu l’inizio di un processo di rinnovamento dell’organismo urbano in cerca di un nuovo equilibrio formale e funzionale: furono riaperte le porte chiuse tra Quattro e Cinquecento, fu realizzata la nuova Piazza del Teatro, oggi intitolata a Garibaldi, terminale urbano del viale della Stazione ferroviaria, inaugurata nel 1863.
Roberto Ghelfi