
Chiesa e cultura: un rapporto a cui ridare vita. “Raccontiamo la Chiesa com’è”
“Molta morale, poca comunità, zero cultura”: la vita delle comunità ecclesiali “sa sempre più poco della strepitosa rivelazione che ci è consegnata dalla fede seminata da Gesù”, portando ad un “ripiegamento nella pura devozione di gesti e immagini vagamente connesse al mistero cristiano”.
A scrivere parole così forti, sul quotidiano “Avvenire” del 5 febbraio, è stato Pierangelo Sequeri, prete e autorevole teologo. L’articolo, intitolato “Uscire dalla nevrosi ecclesiogena: raccontiamo la Chiesa com’è” è reperibile sulle pagine internet del quotidiano e sviluppa una tesi di fondo: i frutti del Concilio Vaticano II, cioè una fertile stagione teologica, l’idea di Chiesa più comunitaria, una più vitale spiritualità e una nuova impostazione missionaria non sono penetrati nel mondo esterno.

“La fede nel riscatto dell’anima dal nichilismo che se la divora senza troppa fatica, e nella destinazione della vita che deve risorgere da qualche parte, per sempre” non circola nel mondo, diventando per Sequeri persino “ingombrante nello spazio stesso della fede”, provocando “saturazione e rigetto, persino demoralizzazione”.
Il ripiegamento nel devozionismo, secondo il teologo, ne è la diretta conseguenza. “La fede che Gesù cerca – si legge nell’articolo – non è riservata ai preti e ai profeti, ai battezzati e ai salvati. La Chiesa è ancora balbettante su questo, e fatica a trovare le parole per dirlo. Non sa ancora bene come dirlo, ma nel profondo della sua coscienza sa di saperlo”: per Sequeri il punto è trovare le parole giuste per proporsi al mondo di oggi.
Per trovarle, la Chiesa deve affidarsi alla sinodalità e al contributo di esperienze cristiane più a confronto con il mondo esterno, creando ponti fra religione e cultura che permettano un dialogo anche con realtà molto lontane, da cui anche la comunità ecclesiale troverebbe giovamento: “L’amore che si consuma all’interno della nostra devota comfort-zone va perduto, anche per noi. Se trova la strada per uscire, ritroverà le sue emozioni anche all’interno”.
Sempre su Avvenire, Roberto Righetto, già caporedattore delle pagine culturali del quotidiano cattolico, il 9 marzo ha commentato l’articolo di Sequeri (“Perché i cattolici faticano a rispondere alle sfide culturali?” è il titolo del pezzo, anch’esso disponibile online) parlando della necessità di contrastare “il grave analfabetismo religioso della nostra epoca” di fronte alla corrosione del “tessuto culturale del popolo italiano, anche quello dei credenti e dei praticanti”, in un contesto che da molto tempo “vede quella cattolica come una cultura socialmente insignificante”.
Una constatazione inoppugnabile in una realtà ecclesiale in cui la teologia, la dottrina sociale della Chiesa, l’arte e la storia cristiana sono temi lasciati appannaggio di ristretti gruppi di iniziati.
Le riflessioni sviluppatesi su siti cattolici o sulle pagine social di intellettuali cristiani successivamente agli articoli di Sequeri e Righetto, hanno messo in luce molti aspetti del problematico rapporto Chiesa-cultura.
C’è chi si è interrogato sul ruolo dell’insegnamento della religione a scuola, chi ha denunciato la scarsa cura pastorale per gruppi un tempo centrali per la costruzione di una cultura cristiana nella società, come gli universitari della Fuci, il Movimento Laureati (oggi Meic) e altre realtà di “pastorale d’ambiente”.
Sequeri stesso si è interrogato sui percorsi di iniziazione cristiana che non prevedono la storia cristiana, che i giovani apprendono successivamente a scuola “scoprendola come storia delle streghe, delle crociate, e dell’inquisizione”.
E c’è chi ha preso atto di come il Progetto Culturale di metà anni ’90, con la sua idea di fondo di irradiare i valori cattolici irrinunciabili in una società secolarizzata, ha finito per autoconfinare la Chiesa fuori dal confronto pubblico.
In questo contesto, il primato della cultura è oggi, secondo Righetto, una sfida per la Chiesa che “diviene sempre più evidente dinanzi ai nuovi fondamentalismi religiosi, alle forme volgari, violente e disumane del nichilismo che colpisce le donne e i giovani, alle provocazioni della cancel culture, all’invasione della tecnoscienza, allo stravolgimento del concetto di natura, ai rischi connessi all’intelligenza artificiale”.
A preoccupare Righetto sono soprattutto le nuove generazioni: “la fede cristiana non si esprime al di fuori della cultura e c’è bisogno di un nuovo immaginario della fede che attragga i giovani. E senza cultura non è possibile”.
Appare evidente che sul rapporto fede-cultura si gioca un pezzo importantissimo della capacità di evangelizzare il mondo evitando che la Chiesa si riduca al rifugio di nostalgici di un’epoca che non c’è più, impauriti dal postmoderno.
Per questo sarebbe opportuno che a tutti i livelli il dibattito proseguisse, per capire come potere aprire il messaggio di salvezza a tutti non solo attraverso la carità e l’educazione, ma anche (o forse soprattutto) tramite la cultura.
(Davide Tondani)