Quando il senso di colpa fa il “cuore nero”

Ogni lettore si costruisce il suo pantheon personale attraverso il confronto che la casualità o l’attenta considerazione possono prospettare disponendo poi, con naturale arbitrio, gli scaffali mentali in cui crearsi siti di naturale conforto.
Per esempio Valeria Parrella, Silvia Avallone e Silvia Ballestra con le “veterane” Elisabetta Rasy, Lidia Ravera e Paola Petrignani costituiscono la confort zone in cui da lettore disordinato e provvisorio mi rifugio nei momenti del bisogno.
Questa, forse, la ragione per cui propongo l’ultima fatica di Silvia Avallone che mi aveva fulminato col suo “Acciaio” nel 2010 e convinto oggi con “Cuore nero” (Rizzoli, pagg. 361 euro 20) dopo le conferme ulteriori di “Marina Bellezza” (2013), “Da dove la vita è perfetta” (2017) e “Un’amicizia” (2020).
Siamo a Sassaia in una frazione quasi disabitata del paese di Alma nelle Alpi biellesi dove Emilia, trentenne asciutta coi capelli rossi, si rifugia in una vecchia casa semi-abbandonata di una lontana parente defunta per cercare di reinserirsi in una vita “normale” dopo aver scontato una pena ultra-decennale per un misterioso delitto tanto infamante da poter essere definito insuperabile.
Presto conoscerà Bruno, che insieme all’anziano pittore Basilio costituisce l’unica presenza umana della frazione. Si tratta di un maestro elementare che lavora nel paese vicino, in fuga da una tragedia familiare che non è riuscito a superare. L’ovvia conoscenza tra i due porterà ad un reciproco rapporto di quasi confidenza (e qualcosa di più) attraverso la quale pian piano ci troveremo a capire in maniera più definita il senso delle loro vite segnate da destini diversi ma comunque simili nell’impedire la possibilità per entrambi di un completo chiarimento.
Il ricordo della reclusione nel carcere minorile di Bologna da una parte per Emiliam e dall’altra della disgrazia che ha travolto Brunom costituiscono la parte centrale del romanzo che non manca di approfondire tematiche più generali rispetto alla vicenda personale. Come i rapporti all’interno del carcere con autorità, compagne di prigionia, situazione personale e generale, confronti, aspirazioni, speranze e desideri per Emilia.
E la condizione delle scuole per Bruno, che insegna in una multi classe con tredici alunni, in cui le speranze e possibilità sia sue che dei ragazzi sembrano offrire solo vaghe ansie di fuga.
Nel prosieguo potremo misurare la bravura dell’autrice che con pazienza, ma anche decisione, propone la storia attraverso il percorso dei protagonisti e dei comprimari che, seppure limitati nello spazio occupabile nella vicenda, costituiscono un necessario completamento per arrivare al fine ultimo della vicenda.
Le tematiche personali, il coinvolgimento emotivo, le significazioni sociali, storiche, gli snodi drammatici, le svolte impensabili, il valore ultimo delle affermazioni che orgogliosamente Avallone offre al lettore travalicano la pur trascinante abilità narrativa per proporre una ineludibile necessità di riflessione perché i temi affrontati ci riguardano da vicino come forse non si era voluto capire.
Un’opera intelligentemente problematica per un invito difficile da non cogliere. Silvia Avallone ha colpito ancora.

Ariodante Roberto Petacco